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ESCLUSIVA – Grava: ”Molte scuole calcio fanno la guerra al Napoli, in Campania c’è un ambiente corrotto. Sulle voci negative sul settore giovanile dico che…”

Gianluca Grava, premiato ieri al San Paolo per i dieci anni trascorsi nella Ssc Napoli, si racconta in esclusiva tra le emozioni di Fuorigrotta e la guida del vivaio azzurro

Chiacchierata esclusiva a 360 gradi con Gianluca Grava, responsabile tecnico del settore giovanile del Napoli, che realizza un bilancio del suo operato dopo poco più di un anno alla guida del vivaio azzurro

Dal campo alla scrivania, Gianluca Grava un anno e mezzo fa ha vissuto questo passaggio, si è dedicato alla guida del settore giovanile del Napoli, che rappresenta una missione di grande respiro, che coinvolge anche l’aspetto sociale, umano ed educativo. E’ il momento giusto per fare un bilancio del lavoro compiuto con un occhio ai progetti per il futuro, così abbiamo intervistato in esclusiva Gianluca Grava, incontrandolo nel ventre del centro di Castel Volturno, negli uffici della Ssc Napoli con il responsabile organizzativo Cristiano Mozzillo.

Ieri hai ricevuto un premio per i tuoi dieci anni nella Ssc Napoli. Ci racconti le emozioni che hai provato nel tornare sul terreno di gioco del San Paolo?

“Ho provato fortissime emozioni, la maglia azzurra per me è sempre stata molto più importante di tutto, trasmette sensazioni indescrivibili. Ringrazio il presidente De Laurentiis per avermi fatto realizzare il sogno che avevo da bambino, di aver chiuso qui la carriera e di far ancora parte di questa grande famiglia. Ho ricordi splendidi di questa larga fetta della mia vita, uscire tra gli applausi dei sessantamila del San Paolo il giorno dell’addio pur non essendo un “Maradona” è stato, è e sarà indimenticabile ma ricevere i cori e le manifestazioni d’affetto da parte dei tifosi ieri sera a due anni di distanza mi ha riempito il cuore di gioia ed orgoglio. La piazza di Napoli mi ha dato tanto, mi ha fatto sentire importante, spero di aver ricambiato in questi anni quest’affetto con l’attaccamento ai colori azzurri. Ieri ero emozionato come il primo giorno in cui ho calcato l’erba del San Paolo, è stato fantastico poi ascoltare la Curva che invocava il mio nome”

Dopo poco più di un anno alla guida del vivaio, ci fai un bilancio sul tuo operato? 

“Mi sono concentrato soprattutto sulla necessità di riallacciare o in alcuni casi allacciare i rapporti con tutte le scuole calcio, abbiamo organizzato per questo motivo delle amichevoli, ne facciamo circa cinque a settimana, penso siano il modo più giusto per sondare e “vivere” il territorio. Abbiamo ricevuto un feedback importante, al di là della categoria e dell’età ho riscontrato l’emozione dei ragazzi delle altre squadre nell’affrontare il Napoli. Ho avuto l’onore di indossare questa maglia, che ha un peso specifico molto significativo anche da ragazzini. Sono orgoglioso del fatto che il nostro settore giovanile dia spazio quasi esclusivamente a ragazzi campani mentre in Italia i vivai sono pieni di calciatori stranieri. Ciò che mi rammarica è che nel territorio, anche se si professano quasi tutti tifosi del Napoli, spesso non è così. Molti fanno la guerra a questa società, mi dispiace per le opportunità che si negano ai ragazzi. M’arrabbio molto quando so che ragazzini del ‘2002, del ‘2003 sono “bloccati” da club del Nord, anche se questa prassi è vietata dalla legge. C’indigniamo tutti per i cori razzisti ascoltati negli stadi di tutta Italia ma poi le scuole calcio aiutano i club del Nord nel prendere i migliori ragazzi della nostra terra. Nessuna maglia può darti le stesse emozioni di quell’azzurra, salire le scale del San Paolo soprattutto per un napoletano è indescrivibile, me l’hanno confermato anche miei ex compagni di squadra, solo a parlarne provo i brividi, negli ultimi anni, quando ho rinnovato di anno in anno, potevo andare a guadagnare di più altrove ma sono rimasto a Napoli per amore della maglia azzurra.”

Abbiamo spesso raccontato le manovre compiute da varie società italiane attraverso mediatori, procuratori, osservatori e scuole calcio di riferimento. Ti aspettavi un ambiente così difficile?

“Non pensavo che ci fosse tutto questo marciume, non mi sembra corretto bloccare e molto spesso illudere un ragazzo, poichè spesso le promesse non si tramutano in realtà. I ragazzi tra i dodici e i quattordici anni vivono la fase dello sviluppo fisico, psicologico e tecnico, crescere nel Napoli e non nelle scuole calcio, dove spesso non si lavora in maniera adeguata, forse potrebbe consentire a tanti di migliorare, piuttosto che aspettare che qualcuno mantenga le promesse. Un ragazzino che per esempio doveva andare in una società di prima fascia della serie A e poi è scavalcato da altri più pronti e non raggiunge la destinazione promessa è “ammazzato” a livello psicologico (leggi la storia di Gianluca Capasso nella rubrica del lunedì del 21 Luglio). Ho notato dinamiche allucinanti, ci sono procuratori che di fatto operano per società importanti di Serie A oppure osservatori che, piuttosto che svolgere il proprio lavoro, “parcheggiano” giocatori in altre scuole calcio per poi rivenderli a club diversi da quelli per cui lavorano. Bisogna anche vedere poi quanti ragazzi che vanno fuori regione riescono a completare il loro percorso, molti tornano indietro dopo qualche anno. Non voglio fare, però, di tutta l’erba un fascio, ci sono anche tante scuole calcio con cui collaboriamo in maniera serena facendo il bene dei ragazzi.”

Il Napoli è stato inserito nell’elenco delle società autorizzate dalla Figc per sostenere i provini dei giovani calciatori a differenza di altre realtà che non hanno soddisfatto i requisiti richiesti. Come avete soddisfatto le esigenze della Federazione?

“Abbiamo ricevuto una certificazione della bontà del lavoro compiuto, è stato accertato che abbiamo un adeguato numero di tecnici qualificati, una situazione disciplinare idonea, poi ci siamo dotati di uno psicologo dello sport che è presente al centro sportivo di Sant’Antimo due o tre volte alla settimana. E’ il primo anno che abbiamo inserito nel nostro organigramma questa figura professionale, che ora si sta dedicando ad una fase di studio e d’osservazione. Stiamo organizzando colloqui personali, di squadra, con lo staff e con i genitori. Noi poi diamo tantissima importanza anche all’educazione dei ragazzi e alla scuola, come dimostra la scelta di regalare il materiale scolastico a Natale”

Parlando proprio del rapporto con le famiglie, quanto è cambiato in tal senso il mondo del calcio rispetto al periodo in cui cresceva come calciatore Gianluca Grava?

“E’ cambiato tutto, il comportamento dei genitori incide molto di più. La grande aspettativa dei genitori è vedere i propri figli già campioni e non comprendere che nella fase di crescita e maturazione calcistica ciò che conta è il divertimento. Lo sport si trasforma in un incubo, quando invece dovrebbe essere un’occasione per sorridere. Riempire il cuore e la mente del proprio figlio con il peso delle aspettative rischia di produrre grandi frustrazioni nei ragazzini che a dodici anni vivono delle pressioni incredibili, il calcio smette di essere un divertimento, si è travolti dal peso delle aspettative. Io lo verifico quando ci sono le convocazioni, i ragazzini non convocati sono più preoccupati per la reazione dei genitori che dispiaciuti per la scelta degli allenatori. Io racconto loro spesso la mia storia per far capire l’importanza della famiglia: a circa sedici anni non volevo giocare più, preferivo uscire con gli amici, la ragazza, piuttosto che fare i sacrifici richiesti dal calcio. Mio padre mi disse che ero libero di fare ciò che volevo ma che, se non avessi giocato a calcio, avrei dovuto lavorare. Non ho vergogna a dire che ho fatto il cameriere, il gommista, poi sono tornato a fare il calciatore e mio padre è stato un martello, talvolta scherzo con lui, gli ribadisco che non mi ha mai detto bravo, anche quando ho giocato in serie A. Oggi ho capito quanto sia stato importante il suo atteggiamento, relazionandomi tutti i giorni con i genitori. Molti, invece, hanno una presunzione incredibile, sembra che tutti abbiano i fenomeni in casa. C’è una strada molto complicata da percorrere, nel settore giovanile sono tutti coccolati, fuori, quando vivi lo spogliatoio con persone che devono guadagnarsi i soldi per vivere, se non stai con i piedi per terra, vai in difficoltà. I ragazzi spesso non arrivano pronti al salto nel professionismo per le dinamiche della nostra società, sembra che non ci sia amore per il calcio. Ho talvolta l’impressione che sia più importante il contratto nell’immediato che la costruzione del proprio futuro con i sacrifici. Non basta l’ora e mezza d’allenamento, io dal martedì già pensavo alla domenica, non uscivo il venerdì e il sabato sera, quando non ci allenavamo, la mattina andavo a correre e ho sempre condotto una vita sana. Anche quando non giocavo, non mi fermavo mai, dovevo sempre farmi trovare pronto, non è un caso che, chiamato in causa dopo molti mesi, riuscivo a stare in campo per novanta minuti senza avere i crampi, lavoravo anche nella settimana libera a Natale. Non ero assolutamente un fenomeno, molti ragazzi più bravi di me non ce l’hanno fatta, di talenti persi per strada ne ho visti tanti, spesso si fa fatica a trasferire questi concetti. Noi stiamo con i ragazzi solo due ore al giorno, nelle altre ventidue assorbono le pressioni dell’ambiente esterno al Napoli. Lorenzo Insigne deve essere un esempio per i ragazzi, ha sempre pensato solo a giocare, accettando le scelte degli allenatori, le società in cui andare in prestito individuate dalla dirigenza del Napoli.”

Tutti sono rimasti colpiti dalla tua scelta di scendere in campo durante gli allenamenti e d’insegnare i movimenti da compiere, soprattutto ai difensori. Ci racconti il contributo che hai voluto dare?

“Ho accettato una richiesta degli allenatori, altrimenti non mi sarei permesso d’invadere la loro area di competenza. Oltre al discorso tecnico e qualche “trucco del mestiere” ho voluto trasmettere ai ragazzi la passione, il senso del sacrificio. Nel mondo del calcio le distrazioni sono tante, si può uscire tutte le sere, bisogna stare attenti, c’è poi il peso delle aspettative che ripeto può fare molto male”

Sul settore giovanile del Napoli girano da molti anni tante voci negative: dalla presenza dei “raccomandati” in campo, dei tecnici impreparati alle carenze riguardo alle attrezzature. Cosa ti senti di contrapporre a queste dicerie? 

“Io sono partito dal rapporto con le famiglie, ai genitori ho detto che ci ho messo dieci anni per costruire una certa immagine di me stesso a Napoli e non me la rovino per nessun ragazzo. Lavoriamo alla luce del sole, mi assumo tutte le responsabilità, naturalmente si può anche sbagliare sulle scelte ma nessuno è mai favorito. Bisogna fare i complimenti a Giuseppe Santoro e a tutti i collaboratori che hanno portato avanti il settore giovanile del Napoli anche quando c’erano pochi mezzi a disposizione, e a Luigi Caffarelli, che poi l’ha seguito in questo ruolo, era molto difficile accompagnare  la crescita del vivaio a quella della prima squadra . Sono aperto al colloquio con tutti ma voglio specificare che per avere la licenza Uefa in questi anni è stato necessario costruire una macchina organizzativa di livello e rispettare tutti i parametri. Abbiamo per ogni squadra staff tecnici ampi con gli allenatori in seconda, un preparatore atletico abilitato a Coverciano, un’area medica con attrezzature all’avanguardia e professionisti di livello  che rappresenta il nostro fiore all’occhiello. Abbiamo tredici fisioterapisti di cui uno che si occupa della riabilitazione da campo e medici che seguono quotidianamente tutti i ragazzi su tutti gli aspetti, nel complesso della cura della struttura fisica, con programmi individuali e un’attenzione specifica a tutti gli aspetti, a cominciare dalla postura. Poi spesso sento dire che tante persone chiamano per conto del Napoli, non è assolutamente vero, siamo solo io e Mozzillo a rappresentare la società con le scuole calcio. Riguardo alle strutture, sono stati compiuti grandi passi in avanti, a Sant’Antimo c’è la possibilità di fare palestra, di lavorare in piscina. In realtà ci sono molte scuole calcio virtuose con cui abbiamo un ottimo rapporto, ma tanti altri che dicono di essere amici ma poi fanno la guerra al Napoli. Qualcuno è stato capace di chiederci la luna per un ‘2004, anche se, come sanno tutti, non si può sottoscrivere un vincolo pluriennale fino al compimento dei quattordici anni d’età, quindi, un ragazzino potrebbe anche andare via per qualsiasi motivo e il nostro investimento sarebbe vanificato molto presto. Al Napoli non manca nulla, c’è la possibilità di crescere in maniera sana. Si dice spesso che dobbiamo strutturare un’area scouting più ampia ma in realtà bisogna cambiare la mentalità generale delle scuole calcio, c’è un controsenso generale: siamo tutti tifosi del Napoli, ci indigniamo per i cori razzisti ma poi magari il giorno dopo aiutiamo i club del Nord. Quando si dice che il Napoli si fa sfuggire i talenti, bisognerebbe valutare caso per caso, verificare che certi ragazzi siano stati informati delle nostre richieste prima che poi esplodano altrove, oppure conoscere le folli pretese economiche di tante realtà. Addirittura alcune scuole calcio affermano di lavorare meglio di noi, dicono che noi “bruciamo” i ragazzini, mi sono anche un po’ stufato di sentire queste maldicenze da chi non sa nulla del Napoli, talvolta è più facile prendere giocatori dal Lecce che dalle scuole calcio della zona”

C’è, però, un dato statistico: negli ultimi anni abbiamo perso tanti ragazzi napoletani (Verde, Mandragora, La Ferrara, Donnarumma e tanti altri) alle soglie della Serie A e protagonisti nelle Nazionali giovanili. Come te lo spieghi?

“Non mi permetto di giudicare chi ha lavorato prima di me, posso solo dire, essendomi informato, che i ragazzi che hai citato erano nel mirino del Napoli ma per motivi diversi non sono venuti, mi hanno riferito ad esempio che la scuola calcio di uno dei ragazzi che quest’anno ha debuttato in serie A ogni qualvolta lo convocavano per raduni e provini diceva che era infortunato. Oggi è tutto più difficile anche rispetto a cinque-sei anni fa, le scuole calcio sono state affiancate dai procuratori, sono aumentate quelle “senza retta” e sono diventate molto competitive. Addirittura si cedono spesso giocatori a società, che con tutto il rispetto sono di spessore nettamente inferiore sia come prima squadra che come settore giovanile perché probabilmente ci sono altri interessi”

A Dicembre ha fatto scalpore lo svincolo di Frank Liivak, attaccante classe ’96 nelle ultime due stagioni in Primavera. Quali sono le motivazioni di questa scelta?

“E’ stata compiuta una scelta in accordo con lui , ha avuto dei problemi d’ambientamento. Frank probabilmente non riusciva a rendere secondo le aspettative e non si trovava a suo agio, ha trovato una società aperta al dialogo e ci ha ringraziato perché gli siamo venuti incontro (leggi le sue parole su Facebook del 20 Dicembre scorso), sono contento se in Spagna si troverà bene. Ci tengo al fatto che chi resta a Napoli debba essere felice, ad inizio stagione ho convocato tutte le famiglie nella sala riunioni a Sant’Antimo per comunicare ciò che pensavo. Indossare la maglia azzurra è un privilegio, bisogna esserne consapevoli, quando ho cominciato a operare da responsabile del settore giovanile, sembrava che io dovessi inseguire i genitori e i ragazzi, non ci potevo credere ed, infatti, opero in maniera completamente diversa”

Dopo la denuncia di un ambiente tossico ai danni del Napoli, quali possono essere le mosse giuste per migliorare la situazione. Noi abbiamo fatto qualche proposta: le affiliazioni alle scuole calcio, riformare le “squadre cuscinetto” nelle categorie Berretti ed Allievi Lega Pro?

“Da quando mi sono esposto in prima persona, ho perso molti amici ma non m’interessa perché mi sono fatto da solo e devo ringraziare solo la mia famiglia, il Napoli e tutti quelli che mi stanno aiutando, come il direttore sportivo Riccardo Bigon con cui c’è un confronto continuo. Sto andando avanti in questo modo perché non è giusto togliere delle opportunità ai ragazzi usando delle dicerie messe in giro ad arte da persone che non sanno niente del Napoli. Saranno formate altre squadre, è un nostro obiettivo, anche il meccanismo delle affiliazioni può essere una buona idea, sarebbe la formalizzazione di una consuetudine di rapporti che dovrebbero essere già fortemente voluti dalle scuole calcio, ma poi bisognerebbe capire come applicarlo perché non è facile mettere in moto una situazione del genere. In generale dobbiamo migliorare la qualità del nostro lavoro per riuscire a mettere nuovamente il Napoli al centro dei desideri di tutti”

Grazie e sempre Forza Napoli!

 

A cura di Ciro Troise e Gilberto D’Alessio

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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