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Ieri è deceduto Antonio Ghirelli. Rigido innovatore ed un fuoriclasse vero del giornalismo

Il giornale di Roma racconta la storia del grande giornalista scomparso nella giornata di ieri

Quando, la mattina, arrivava nella redazione di Largo dei Lombardi ce la facevamo un po’ tutti addosso – diciamolo pure – in attesa del suo fatidico e temuto “mattinale”, che la segretaria distribuiva a ogni caposervizio e caporedattore. Un giorno l’osanna, il giorno dopo il crucifige. Ci teneva sulla corda come potrebbe fare uno di quegli allenatori di calcio, diciamo un Mourinho, per stare al presente, che chiedono alla squadra di non mollare un attimo, di cercare sempre il meglio, di mordere le caviglie degli avversari, nel nostro caso quelle della concorrenza. Guai a prendere un “buco”. Guai a scrivere un pezzo con approssimazione, senza il dovuto rispetto per la lingua italiana. Erano cavoli amari per il poveretto che si era macchiato di mostruosità siffatte. Ma che lezioni di giornalismo e che scuola, per tanti di noi che ne hanno seguito le orme e gli insegnamenti.  Se la memoria non mi inganna, Antonio Ghirelli mise piede per la prima volta al Corriere dello Sport il 12 giugno 1961. L’incarico gli era stato conferito dalla “Rusconi e Paolazzi”, da poco proprietaria del “Corriere”. Ero un giovanotto giornalisticamente implume quando Ghirelli mi convocò, ultimo o penultimo tra gli ultimi, e mi chiese cosa facessi e sapessi fare. Impapocchiai, emozionatissimo, una qualche risposta. Dopodiché fui congedato così:” Guaglio’, datti da fare, mi raccomando”. Allora, i Capi erano i Capi, la cui bravura e autorevolezza nessuno di chi era alle prime armi avrebbe osato, sia pur larvatamente, incrinare con un “se” o con un “ma”. Il Direttore si amava (oppure si detestava), ma non si discuteva. Un paio di mesi dopo il nostro primo colloquio, Ghirelli mi assegnò il compito di intervistare Egidio Guarnacci, eccellente mediano della Roma e della Nazionale, reduce da un grave infortunio, affinché questi raccontasse ai nostri lettori le tappe della sua odissea. Con mia incredula sorpresa, quel servizio, due o addirittura tre puntate, uscì in prima pagina. Con tanto di firma per la quale l’impaginatore (i grafici dovevano ancora nascere) non aveva lesinato sulla spesa, tanto da attingere nientemeno che a un “corpo trentasei” che mi fece pudicamente arrossire. Ma erano altri tempi, quelli.  Ghirelli fu costretto a lasciare il nostro giornale in conseguenza di un titolone politico-sportivo dedicato alle conquiste spaziali, che vedeva l’URSS in prima linea. La direzione del ” Corriere” passò a Luciano Oppo, ma Ghirelli sarebbe tornato tra noi il 2 gennaio ’65. Lo avrebbe richiamato il nuovo proprietario, il lungimirante Franco Amodei, padre del nostro attuale editore.  Innanzitutto, Ghirelli era uno stakanovista. L’indimenticato Gino Palumbo, che vantava le sue stesse origini campane, nonché la devozione al lavoro, soleva scherzosamente dirgli: «Noi due siamo napoletani “bianchi” » , per rendere ironicamente l’idea di chi ha il piacere di “spaccarsi la schiena” pur non essendo un lumbard. Ma entrambi amavano allo spasimo i napoletani e Napoli, la Napoli alla quale Ghirelli ha dedicato una parte notevole della sua opera di scrittore e storico. Il suo rientro al “Corriere” fu segnato da autentiche rivoluzioni, riguardanti la grafica, i contenuti, la titolazione, a volte trasgressiva (indimenticabile un “Vi spareremo dai tetti”, rivolto alla Roma che era sul punto di cedere un paio dei suoi campioncini), l’approfondimento di temi legati ai più svariati aspetti sociali, dal tempo libero alla scuola, addirittura al primo sbarco sulla luna, praticamente raccontato in diretta su questo giornale da un formidabile inviato quale Sergio Neri. Amava i giovani e li promuoveva sul campo, però mettendoli quotidianamente alla prova. Se ti bocciava un pezzo o un titolo, lì per lì lo avresti strozzato. Ma quante volte, ripensando al mestiere che dignitosamente ho svolto, uno dei più belli al mondo, mi son chiesto: cosa avrei saputo fare se non fossi riuscito ad arrampicarmi sulle spalle di un gigante come Antonio Ghirelli?  Da romantico appassionato del calcio, predicava il gioco d’attacco. E ciò coincideva con il suo temperamento. Memorabili i duetti con Ezio De Cesari, altra colonna di “quel Corriere”. Da buon livornese, De Cesari ne sapeva una più del diavolo e, nove volte su dieci, con le sue lucide argomentazioni, riusciva a stringere all’angolo Ghirelli, che era, alla Bruno Roghi, più un aedo dello sport che un tecnico allo stato puro. Ma poi De Cesari si arrendeva nel leggere i deliziosi e acuti commenti ghirelliani del martedì: «Deh, gli è proprio bravo».  Appartiene alla storia del giornalismo sportivo la rivalità con il mitico Gianni Brera, che nel furore delle battaglie polemiche con lui e Palumbo la buttava su violini e mandolini. Una volta, fecero perfino a botte, in tribuna stampa, Brera e Palumbo. Ma tutto finì lì. Erano ragazzi fumantini di una certa età e di un’altra epoca.

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

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