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Stendardo: “Renzi, voglio fare il ministro dello Sport. Agnelli cambierà il calcio perchè…”

"Una volta lasciata l'attività agonistica, vorrei impegnarmi in politica. E, siccome sono ambizioso, mi piacerebbe fare il ministro dello Sport. Ho la competenza e le idee chiare"

E’ l’unico calciatore di serie A laureato in legge e abilitato all’esercizio della professione forense. Napoletano, calcisticamente cresciuto nel vivaio partenopeo assieme al fratello Mariano, difensore pure lui, che milita nel Barletta, dal 2012 Guglielmo Stendardo gioca nell’Atalanta con la quale ha appena collezionato 100 presenze e della quale è diventato uno degli elementi più amati dai tifosi, grazie a un rendimento particolarmente brillante e ad un fortissimo attaccamento alla maglia. L’avvocato Stendardo compirà 34 anni il 6 maggio. Ha un contratto in scadenza nel 2017.

Signor Stendardo, lei è  decisamente un tipo poliedrico: calciatore professionista che, prima dell’Atalanta, ha militato anche nella Samp, nella Lazio, nella Juve e ancora nella Lazio oltre a Salernitana, Catania, Perugia e Lecce, indossa con disinvoltura i panni dell’opinionista e ha superato l’esame di Stato per fare l’avvocato. Ha già deciso che cosa farà da grande?
“Sicuramente il calciatore e spero il più a lungo possibile, se Dio vorrà. Ma non le nascondo che, una volta lasciata l’attività agonistica,  vorrei impegnarmi in politica. E, siccome sono ambizioso, mi piacerebbe fare il ministro dello Sport. Un incarico che non esiste nell’attuale governo Renzi e per il quale ritengo di avere le competenze e le idee chiare. Tanto per cominciare, occorre creare tutti i presupposti e tutti i controlli necessari per evitare si ripeta lo scandaloso caso Parma; occorre cambiare il sistema che governa il calcio italiano, rispettando naturalmente l’autonomia della federazione; occorre spalancare le porte ad un rinnovamento totale della classe dirigente”.

Non male come progetto. E, se oggi fosse ministro dello Sport, che cosa farebbe dopo le violenze di Torino, venute dopo le violenze di Varese e Cagliari, dopo gli striscioni dell’Olimpico contro la mamma di Ciro Esposito?
“La Costituzione sancisce il principio della responsabilità penale individuale. Uno Stato forte deve imporre il rispetto delle sue leggi, evitando la criminalizzazione e la strumentalizzazione di intere tifoserie come, invece, sta accadendo con conseguenze molto negative. Deve garantire stadi sicuri, nei quali non entrino mai più bombe carta, razzi, petardi, bengala e non si rischi più di morire, com’è successo ieri a Torino. Deve individuare e punire i criminali che infestano gli spalti”.  

Ma, secondo lei i calciatori fanno abbastanza per cambiare il sistema? Contro la violenza e il razzismo, c’è chi propone di fermare tutto per combattere l’assuefazione al peggio. La signora Raciti, dopo le scritte infami contro la mamma di Ciro, ha affermato: chiudiamo gli stadi. E’ d’accordo?
“I calciatori possono e devono fare di più, ad iniziare dal sindacato perché, se i calciatori si fermano, il calcio chiude. I calciatori sono in una posizione di forza tale che devono farsi sentire. La serrata degli stadi non è la soluzione: ripulire gli stadi dai violenti, ecco che cosa si deve fare. Ma è indispensabile la volontà politica di farlo”.

Signor Stendardo, perché è diventato avvocato? E come è riuscito a coniugare l’attività di calciatore con gli studi giuridici? Lei è decisamente una mosca bianca in un panorama in cui spiccano pochi tomi di diritto pubblico e brillano molte playstation. O sbaglio?
“Non sbaglia. Io ho avuto una fortuna: mio padre e mia madre mi hanno trasmesso sin da piccolo l’amore per la cultura. Che non vuol dire soltanto conseguire una laurea e l’abilitazione alla professione forense. Cultura vuol dire conoscenza e la conoscenza non finisce mai. Cultura significa capire, ragionare, discutere. Non mi sento né un fenomeno né un genio per i risultati accademici ottenuti, conciliando lo studio con l’attività agonistica, le partite, gli allenamenti, i ritiri. Semplicemente, quando mi prefiggo di raggiungere un traguardo, faccio di tutto per tagliarlo. L’importante è non sentirsi mai arrivati: gioco in serie A in un club modello, sono diventato avvocato, mi piace scrivere, ho appena preso il patentino Uefa B che abilita ad allenare sino all’Interregionale e agli Allievi nazionali, punto al patentino Uefa A (Lega pro) e all’Uefa Pro (serie A e B). Ho molti progetti in testa”.

Signor Stendardo, Atalanta e Percassi esclusi, quali sono la società e il dirigente che, a suo avviso, possono essere additati ad esempio da seguire e a modello da imitare per uscire dalla palude?

“Lei ha detto bene. Atalanta e Percassi esclusi perché – e non lo affermo in quanto tesserato nerazzurro – questo club e chi lo dirige sono all’avanguardia per organizzazione, efficienza, comunicazione, strutture di allenamento, come il centro sportivo di Zingonia che è fra i migliori d’Italia e  raccoglie consensi anche all’estero. Se l’Atalanta avesse uno stadio di proprietà, le sue ambizioni assumerebbero un carattere europeo. Conoscendo le straordinarie capacità imprenditoriali di Percassi, il cui Gruppo dà lavoro a quasi 6 mila dipendenti,  sono sicuro che raggiungerà anche questo obiettivo, nonostante tutte le difficoltà che gli frappongono.
Ampliando il discorso, per rispondere alla sua domanda dico che la Juve di Andrea Agnelli è il punto di riferimento assoluto del calcio italiano. Lo dimostrano i risultati ottenuti sul campo e fuori dal campo, la realizzazione dello Stadium, la compattezza della struttura dirigenziale, il gioco di squadra e non mi riferisco soltanto agli straordinari risultati ottenuti da Allegri e dai suoi giocatori in questa stagione.  
La Juve di nuovo fra le prime quattro squadre d’Europa non è un caso: è il risultato di un lavoro lungo e faticoso che oggi viene premiato. Ho avuto la fortuna di giocare in bianconero, sia pure per un breve periodo: quando si cita la mentalità vincente della Juve, non si ricorre a uno stereotipo. La forza della Juve è un gruppo dove tutti remano nella stessa direzione. E Agnelli è l’emblema di questa società. Le sue idee, il suo spirito manageriale possono cambiare il calcio purché il calcio abbia il coraggio di seguirlo. Se fossi ministro dello Sport, Agnelli sarebbe l’interlocutore ideale come presidente della Figc o della Lega. E tutto cambierebbe”.

Fonte:calciomercato.it

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