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‘¡Hala!’ vs ‘¡Aupa!’, la filosofia di un’invocazione: Real Madrid-Atletico, questione di ‘stile’…

Quella tra il Real Madrid e l'Atletico non è solo la finale di Champions League ma una sfida tra filosofie e modi di essere opposti che convivono assieme nella stessa città

Sarà stato il caso, sarà stata la fortuna, sarà stata perché no anche la bravura. Perché a trovarsi al posto giusto al momento giusto bisogna anche esser capaci ma a volte semplicemente ci si è di passaggio con la vita che ti fa accadere le cose attorno e tu non devi far altro che stare attento. Ci siamo ritrovati nei primi mesi di questa stagione calcistica volta ormai alla conclusione a raccontarvi di due filosofie più che di due squadre di calcio, due mentalità distinte che convivono però nella stessa città, con due nuclei talmente diversi da sembrar Sparta e Atene al giorno della partita, perché al lunedì Madrid si perde nel suo essere metropoli, lontana dal ‘blancos’ o dalle solide fibre ‘colchoneros’. Real Madrid contro Atletico, la manifestazione calcistica perfetta di due modi di stare al mondo.

Del Real Madrid ve ne abbiamo parlato come un ‘sogno blancos’, nel suo modo di essere, quasi con arroganza, sempre un gradino al di sopra degli altri. Il ‘Santiago Bernabeu’ da stadio diventa ‘La fábrica de los sueños’, persino l’invocazione ha il suono regale dell’Hala, a differenza dell’influenza basca dell’Aupa. “Hala Madrid y Nada Mas”. E’ il ritornello costante degli aficionados del Real Madrid. Forza Madrid e nient’altro, non una cosa di più perché di niente avrete bisogno dopo aver visto il Real Madrid perché nient’altro è all’altezza, nemmeno lo stratosferico Barcellona, perché da quelle parte, per la capitale, la frase di circostanza è una soltanto:
“Il Barça è una moda degli ultimi anni, il Real Madrid è la storia di sempre”
ed i numeri gli darebbero anche ragione con i 32 titoli nazionali e le 10 Champions League (che questa sera potrebbero diventare undici). E in quell’“Hala Madrid y Nada Mas” che si cela tutto il ‘Madridismo’, perché sì, loro non sono Madrileni, ma Madridisti. E’ anche difficile parlare di ‘tifosi’ del Real Madrid, a loro neanche piace questo termine. Ci sono due tipi di persone che vanno a vedere il Real Madrid, i ‘soci’ e i ‘turisti’. Quest’ultimi, di cui ha fatto parte anche chi vi scrive, vivono l’atmosfera del Santiago Bernabeu al pari dell’imponenza di un teatro dell’Opera. Quando si entra per la prima volta al ‘Bernabeu’ si ha davvero la sensazione di trovarsi dentro una ‘Fabbrica di Sogni’. A 24 anni è come se ne avessi avuti 6, più che fascino è l’eccitazione, una sensazione simile a quando si aspetta il giorno di Natale per aprire i RealMadridBernabeu6regali, è questo ciò che si prova quando si entra per la prima volta nello stadio del Real Madrid. Poi ci sono i ‘soci’, e se chiedi ad un ‘socio’ per che squadra fa il tifo lui non ti risponderà: “Per il Real Madrid”, ma “Per la squadra migliore del mondo”. Possedere la tessera di socio
del club è uno status symbol. Il Real Madrid non è il ‘Santiago Bernabeu’, non sono le 10 coppe dei campioni, non è Cristiano Ronaldo, il Real Madrid è tutti i suoi quasi centomila soci che partecipano in maniera attiva alle sorti del club pagando una quota annuale. Ciò in qualche modo li definisce, chi più e chi meno, proprietari del club. Ecco perché non è affatto raro sentirli fischiare la squadra dopo un 4 a 0 per un retropassaggio o perché i giocatori gestiscono la partita con il palleggio, non puoi permetterlo perché giochi “Per la squadra migliore del mondo”, devi continuare ad attaccare e segnare per loro che pagano (tanto) il biglietto e (ancor di più) la tassa annuale per il rinnovo della tessera. Ovvio che non tutti i soci sono allo stesso livello, conta la ‘antigüedad del carnet’, ovvero da quanto tempo si è soci del club, quasi come un diritto ereditario. Per la candidatura alla presidenza bisogna esser soci da almeno 20 anni (oltre che aver presentato un avallo di almeno 80 milioni di euro). Florentino Perez, l’attuale presidente, è ad esempio il socio numero 3018, il primo invece era José Eulogio Gutierrez Aranguren, morto ad 89 anni il 25 febbraio 2010.

Poi ci sono gli altri, che nella storia a questo punto dovrebbero essere i ‘buoni’, un po’ come lo sono stati i ragazzi del Leicester di Ranieri. Il problema è questo. Quelli del Real Madrid sono forti, belli ed hanno anche i soldi, quelli dell’Atletico invece certamente poveri non sono (Anche se fatturano praticamente poco meno di un terzo rispetto al Real Madrid, 187 milioni contro i 577 dei blancos) ma ‘brutti e cattivi’ sì, forse è per questo che ‘dividono’, molto più di quanto una squadra sfavorita dal pronostico dovrebbe. (Un po’ come accaduto nella finale di Champions tutta tedesca dove in molti si schierarono dalla parte del Borussia Dortmund sperando nel remake calcistico di ‘Davide contro Golia’ contro i colossi del Bayern). Si sono sprecati gli aggettivi per questa squadra, si è coniato il termine ‘Cholismo’, c’è perfino chi esagerando li ha definiti come l’Anticalcio. “In guerra non vince chi ha più soldati, ma chi li sa usare meglio”, così Simeone presentava la doppia sfida di semifinale di Champions League contro il Bayern Monaco sintetizzando al meglio una filosofia che ha permesso ai ‘colchoneros’ di ottenere ben due finali in tre anni (quella persa per un colpo di testa di Ramos al 94′ e quella di questa sera a Milano ancora tutta da scrivere) e di vincere la Liga mettendosi alle spalle proprio il Real Madrid e il Barcellona, oltre che portare a casa l’Europa League ma molti preferiscono focalizzarsi sull’ultimo triennio magico che ha portato in auge la filosofia del ‘Cholismo’. Entrare al ‘Vicente Calderon’ ed osservare una sfida dell’Atletico Madrid provoca sentimenti contrastanti rispetto a AtleticoMadrid4quando accade al ‘Bernabeu’. La prima cosa a cambiare è il prepartita, i madridisti sono abituati ad entrare allo stadio pochi minuti prima del fischio d’inizio, il sistema di gestione della folla agli ingressi, il posto preassegnato e l’efficienza totale dei mezzi pubblici permettono di evitare qualsiasi tipo di problema di ordine pubblico e di gestione della partita sugli spalti. Anche i ‘colchoneros‘ riempiono le tribune del ‘Vicente Calderon‘ a pochi istanti prima dell’inizio della gara ma ciò che realmente cambia è quello che accade fuori, dove tutti i tifosi (questa volta si parla di tifosi veri, sono molti meno infatti i turisti) si riuniscono nelle birrerie per bere e far festa prima dell’inizio della gara, bisogna prepararsi a quello che c’è dentro, bisogna far da cornice alle ‘Porte dell’Inferno’ spesso invocate da Simeone, perché a volte solo la forza di undici uomini non basta, bisogna chiedere un aiuto che viene dell’esterno, un supporto rumoroso che il ‘Vicente Calderon’ non fa mai mancare. La bravura di Simeone non può essere misurata solo negli incredibili risultati che sta ottenendo in competizioni dove è costantemente costretto ad affrontare club che hanno una una cifra sia tecnica che economica superiore alla sua squadra. L’eccezionalità del lavoro di Simeone sta nell’aver costruito una mentalità, sposata a pieno da calciatori e tifosi, dove nessun singolo emerge, al cospetto di una squadra che annulla il gap con le altre muovendosi come un unico grande organismo, il battito di questi calciatori è sincronizzato, respirano insieme. L’Atletico Madrid è la metafora del mostro greco dell’Hydra, a cui se tagli una testa gliene escono altre due pronte ad aggredirti. Per questo l’invocazione qui è ‘Aupa’, con tutta l’influenza basca del caso, perché basche sono le origini dell’Atletico Madrid, fondato da tre studenti di ingegneria baschi il 26 aprile 1903 che volevano creare a Madrid una filiale dell’Athletic Club di Bilbao. ‘Aupa’ letteralmente tradotto vuol dire “Hei, su” che è quasi un’invocazione a rialzarsi, a non abbattersi per i colpi avversari, come un pugile che incassa perfettamente senza mai andare griezmanndefinitivamente k.o. e alla prima guardia bassa colpisce in maniera letale. E’ la storia dell’Atletico di Simeone, che per più di metà delle gare in cui l’ha allenato non ha subito goal. Sarà la storia della partita di questa sera, il “rematch” della gara di due anni fa che vide il Real Madrid complessivamente dominare la gara, andar sotto per un errore di Casillas in uscita sul solito colpo di testa di Gòdin, l’uomo del destino di quella stagione, sia ‘colchoneros’  che ‘celeste’ visto che eliminò l’Italia proprio grazie ad un suo colpo di testa nei mondiali brasiliani, e che proprio su un colpo di testa, di Sergio Ramos al 94′, vide sfuggir via i sogni di un doplete storico. Difficile dire se l’Atletico Madrid abbia imparato la lezione, questa è una squadra diversa, con la stessa filosofia ma con uomini diversi, con un centravanti meno forte del Diego Costa di due anni fa (che però fu costretto ad abbandonare anzitempo la gara per infortunio) ma con un Fernando Torres che sembra a sua volta lui l’uomo del destino per l’Atletico, con un Courtois in meno ma con Oblak che è stato grande protagonista della sfida di ritorno di Monaco di Baviera parando il rigore a Mueller che avrebbe portato sul 2 a 0 i tedeschi, ma soprattutto con la vera stella ‘colchoneros‘, quell’Antoine Griezmann a cui Simeone ha affidato la bandiera della sua formazione under 25 che cercherà di incidere il suo nome per la prima volta nell’albo d’oro della Champions League. Dall’altro lato c’è il Real Madrid, c’è sempre il Real Madrid, che non avrà Di Maria e Xabi Alonso, uomini chiave della ‘decima‘, ma può contare sul solito Ronaldo (miglior marcatore di sempre della storia della Champions League con record in aggiornamento continuo) e su Zinedine Zidane, l’uomo della provvidenza che a modo suo ha dato un’impronta alla squadra, rendendola più operaia e meno ‘galactica’, con un Casemiro in più ed un James Rodriguez in meno, colui che ha vinto da giocatore la ‘nona’, da assistente allenatore di Ancelotti la ‘decima’ e che in molti, al di sopra del distretto di Chamberi, sono più che convinti sia l’uomo della ‘undecima’.

Andrea Cardone

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