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Petrucci: “Napoli deve diventare grande anche nel basket”

Dopo quasi tre lustri da capo dello sport italiano, è tornato al basket, suo vecchio amore, ridiventando presidente della Fip a distanza di 14 anni dal suo precedente incarico. Gianni Petrucci è tornato in sella per provare a trascinare lo sport dei canestri fuori dal guado nel quale è finito, con centinaia di club che sono spariti dal 2011 ad oggi, un problema che colpisce sia il vertice che la base. E tra questi c’è Napoli, al quarto crack consecutivo.
Partiamo da Napoli, di nuovo sparita dalla mappa del basket. Recuperarla al vertice è una delle sue missioni?
«Assolutamente si, Napoli non può e non deve essere solo calcio, pur dando grandissimi meriti a De Laurentiis che sta facendo cose eccezionali. Proprio lui tra l’altro del resto aveva parlato della creazione di una polisportiva sull’esempio del Barcellona. La città ha la pallacanestro nel suo dna, con una tradizione straordinaria, fin dai tempi di Amedeo Salerno presidente della gloriosa Partenope. Trofei europei, semifinali scudetto, Coppe Italia vinte, l’ultima solo 7 anni fa, e un pubblico fantastico e competente. Quando vengo a Napoli, la gente non mi ferma solo per il calcio ma anche e soprattutto per il basket. Ed io faccio il tifo perché possa tornare ad alti livelli».
Ma i tracolli precedenti hanno lasciato un segno pesante.
«Non c’è dubbio, ma il recente passato negativo non deve essere un freno. Bisogna provare a dare una svolta positiva, naturalmente rispettando i regolamenti vigenti che mi pare sia stato il problema dell’ultima esperienza negativa. Sento dire che c’è fermento in città, che ci sono nuovi dirigenti e imprenditori pronti ad investire, sia per la squadra che per la ricostruzione del Mario Argento, storico impianto che va recuperato dopo troppi anni di disinteresse. Importante è che nei nuovi progetti ci sia serietà e perseveranza».
Il recupero delle grandi città, Napoli in testa, resta dunque un obiettivo-chiave.
«È sempre stato un nostro cruccio. La provincia storicamente ha dato grandissimi risultati al basket italiano, ma per il salto di qualità servono i grandi centri».
Il basket italiano è davvero così in crisi?
«Dati Siae alla mano siamo sempre davanti a tutti gli altri sport come spettatori paganti, dopo il calcio, ed è un aspetto fondamentale. L’altro numero che mi dà fiducia e che abbiamo 150mila iscritti al minibasket, la nostra forza per il futuro. Ma ciò non vuol dire che non siamo in trincea. Ho deciso di invitare al Consiglio federale di sabato anche le società dei campionati maggiori, sia maschili che femminili, per affrontare con loro il problema delle difficoltà economiche e porre le basi per un rilancio».
L’eterno dilemma del giusto equilibrio tra extracomunitari e italiani nei roster delle squadre?
«Un altro dei busillis che tiene banco da anni. In Legadue il 50% dei giocatori impiegati è italiano, in Lega A siamo invece un po’ sotto questo standard. Di sicuro quest’anno c’è stata la riprova che se agli italiani viene dato spazio possono rendere quanto e più degli americani e in questo senso la lezione è arrivata da Caserta che ha fatto di necessità virtù, giocando a lungo praticamente senza stranieri e ottenendo risultati eccezionali».

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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