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Progetto spento a Bilbao e squadra senza entusiasmo, la “patata bollente” scotta solo nelle mani di Benitez

Benitez deve affrontare le critiche da solo, De Laurentiis resta in silenzio, non affronta le perplessità dei tifosi. Rafa nel frattempo riprenda il controllo della situazione, sulla sconfitta di Udine ha grandi responsabilità

Un progetto societario non può basarsi sui risultati sportivi come unica linfa vitale. Non può essere la qualificazione in Champions da raggiungere a tutti i costi, il fine di un piano di lavoro e allo stesso l’imprescindibile risorsa per tirare avanti. Un progetto serio dovrebbe partire dalle infrastrutture: centro sportivo di proprietà per prima squadra e settore giovanile, stadio all’avanguardia capace di incrementare il proprio fatturato.

Quando Benitez ha parlato di strutture in conferenze stampa, è stato spesso visto come un alieno, come un professionista che vive su un altro pianeta, che, invece di parlare di campo, dell’immediato, spinge nella direzione del futuro. Anche un italianista come Walter Mazzarri, abituato a “friggere il pesce con l’acqua”, aveva capito che al Napoli non c’è un piano per la crescita costante. L’allenatore dell’Inter aveva pienamente ragione, ha lasciato una società non pienamente definita due anni fa e a distanza di tempo sembra sia cambiato tutto per non cambiare niente.

L’eliminazione dalla Champions League e i tre punti rimediati in campionato nell’arco di tre giornate hanno mostrato a tutti la realtà: la squadra è svuotata, spenta, senz’anima, va avanti per inerzia, per reazioni d’orgoglio, per le “fiammate” in alcune gare e grazie alla qualità dei singoli.

E’ troppo facile scaricare tutte le colpe su Benitez, divertirsi nel renderlo il capro espiatorio, utilizzarlo come il bersaglio di un processo iniziato a settembre. Nella scorsa stagione il Napoli ha complessivamente condotto un’ottima annata, la prima in cui si è riusciti a reggere il peso di più competizioni: il terzo posto in campionato, la Coppa Italia vinta, gli ottavi di Europa League e la bella figura rimediata in Champions sono complessivamente un bel risultato.

Una squadra senz’anima non ce l’avrebbe mai fatta. Benitez ha dato alla squadra un’identità, l’ha trasformata tatticamente rispetto al passato, è riuscito quasi sempre a fargli fare calcio propositivo. Ha puntato sull’appoggio attivo degli uomini più rappresentativi del gruppo, quelli più vicini alla sua figura: Reina, Albiol, Callejon e Higuain.

Quattro calciatori molto carichi, con motivazioni diverse anche a livello personale: dalla voglia di esplodere in una squadra in cui si ha più spazio a quella di rilanciarsi dopo alcune stagioni anonime al Mondiale che incombeva e in cui presentarsi al massimo. Dove sono finiti i senatori di Benitez? Albiol è svuotato atleticamente e mentalmente, paga la penuria d’alternative, forse qualche turno di riposo gli sarebbe utile. Reina non c’è più, era andato anche incontro alle esigenze del presidente, proponendo un ingaggio di 3 milioni ma De Laurentiis non ha voluto andare oltre la proposta di 1,7 milioni più bonus.

Callejon ha smarrito l’entusiasmo, il mal di pancia per la mancata cessione all’Atletico Madrid si sta facendo sentire. Higuain predica nel deserto, non sarà brillante ma deve trascinare una squadra che fa grande fatica a costruire a centrocampo, deve fare movimento per aprire gli spazi di una squadra, che tende ad allungarsi troppo, e allo stesso tempo indossare i panni del finalizzatore. La relazione tra il grande lavoro compiuto e gli scarsi risultati ottenuti dalla squadra rischia di alimentare la frustrazione dell’ultimo leader rimasto in squadra.

La scorsa stagione doveva essere di transizione, il primo tassello per la costruzione di un progetto lungimirante che magari poteva convincere anche Benitez a rinnovare l’intesa con il Napoli. Se a febbraio Rafa ha detto no alla proposta di De Laurentiis, è perchè ha capito che il progetto non decolla. Dopo un anno di conferenze stampa sull’importanza delle strutture, il Napoli non ha neanche una piscina di proprietà per la riabilitazione dei calciatori infortunati, ha ridotto gli investimenti sul mercato piuttosto che aumentarli, ha perso la possibilità di far allenare la Primavera al fianco della prima squadra perchè Benitez ha bisogno di due campi per impostare il proprio lavoro. L’unica speranza per un futuro migliore era la Champions League, perciò il progetto si è definitivamente “spento” a Bilbao.

IL PRESENTE, LA SCONFITTA DI UDINE – Il processo a Benitez non mi coinvolgerà mai ma riguardo alla sconfitta di Udine l’allenatore spagnolo ha grandi responsabilità. Il Napoli è in un momento molto complicato, non è il momento di fare gli esperimenti o di procedere al turn-over radicale che ha fatto danni anche nella scorsa stagione, basta ricordare il tonfo di Bergamo. Bisogna partire dalle certezze, dai giocatori che hanno entusiasmo, voglia d’incidere, perciò per esempio Mertens non può stare fuori in questo momento. Non c’è tempo di aspettare, devono andare in campo quelli che stanno al 100% o almeno in buone condizioni. Non si può rischiare Michu dietro la punta in condizioni imbarazzanti o Zuniga esterno alto in una partita fondamentale per riscattare il ko contro il Chievo. Si torni a vincere inserendo gli uomini migliori, poi dopo aver ritrovato la continuità di vittorie si può procedere anche al recupero degli uomini in difficoltà atletica o mentale: da Albiol ad Insigne, da Michu a Maggio. Nello spogliatoio dell’Udinese si sono caricati quando hanno letto la formazione, come quello del Chievo qualche anno fa quando Mazzarri fece turnover completo, inserendo anche Fideleff in difesa.

Bisognerebbe abbandonare gli alibi: la sfortuna, la partita in controllo fino al gol di Danilo e rendersi conto che la squadra non va, non riesce ad avere continuità nell’arco dei novanta minuti. Contro l’Udinese non ci sono neanche i venti-trenta tiri in porta, ma solo tre conclusioni che fotografano in maniera inequivocabile la difficoltà del centrocampo a fare gioco. L’unica verticalizzazione di giornata è quella di Britos per Higuain, il difensore uruguagio è anche l’uomo che ha toccato più palloni e la linea di passaggio più utilizzata è quella orizzontale sull’asse Koulibaly-Britos. Questi dati fotografano una prestazione non all’altezza, che hanno ridimensionato anche la capacità del Napoli di attaccare la porta: solo il 44% rispetto al 61,8% della Juventus e al 53% della Roma secondo le statistiche.

E IL PRESIDENTE COSA FA? – De Laurentiis è furbo, aspetta l’evolversi dei fatti in silenzio, ha sempre fatto così nei momenti difficili. Ci furono delle criticità di portata inferiore anche nei primi mesi dell’ultimo anno di Mazzarri e lui si comportò alla stessa maniera, proponeva il rinnovo di contratto all’allenatore senza però smuovere concretamente le sue convinzioni sul futuro del Napoli. Stavolta, però, il quadro sembra più nero, anche se c’è più tempo per recuperare. Le contestazioni l’hanno ferito nell’orgoglio e, dopo aver presenziato al miracolo di San Gennaro, ha fatto filtrare delle dichiarazioni che sembrano avere lo scopo solo di prendere tempo: «Ma io sono stato sempre tranquillo. Conosco bene il valore dei ragazzi. E quando tutti si lasciavano prendere dal panico, io ero sereno. Non sono partito apposta per Los Angeles. Sapevo che ci saremmo rialzati subito. Squadra ancora più forte? Intanto cominciamo ad incoraggiare questa». Prosegue: «Sai cos’è, Crescenzio? A Napoli si deve guardare sempre tutto in negativo e non va mai niente bene. E si vorrebbe tutto e subitoSarei dovuto partire per Los Angeles ma ho preferito restare qui perché vedevo troppe negatività. Negatività all’esterno, non nella squadra che è unitissima e neanche nel tecnico che è molto sicuro del fatto suo. Ho voluto assistere alla partita con lo Sparta apposta. Ma ero sereno, come lo ero dopo il ko con il Chievo. E lo sono stato anche dopo lo svantaggio con i cechi. Ho avuto ragione. Ho visto tanti segnali positivi al di là della vittoria. Dobbiamo limare ancora qualcosa. Poi, chi vuole vedere tutto negativo ci sarà sempre». A cosa serve restare qui senza affrontare il problema, senza parlare ai tifosi che criticano il suo operato, lasciando Rafa Benitez solo contro le critiche? Lo stesso allenatore in cui si dice di avere fiducia e che aspetta ancora di capire qual è il progetto, la stessa figura lasciata solo al cospetto delle critiche, senza il supporto nè di dirigenti autorevoli nè del presidente che ha parlato con la squadra a Castelvolturno quando Benitez non c’era. Nei momenti difficili si vedono le società di spessore, il Napoli ancora non lo è e anche su quest’aspetto meditano Rafa Benitez e gli uomini di maggiore personalità dell’organico azzurro.

Ciro Troise

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