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All’Olimpico attesa per il Magnifico Lorenzo, genietto zemaniano che stregò Sabatini

C’era una volta… Cominciano (quasi) sempre così le favole: e al principe azzurro, quel genietto esploso fragorosamente in un anno o su di lì, c’era quella volta l’Olimpico che toglieva un po’ il sonno e certo rappresentava una suggestione e magari pure una tentazione. Roma-Napoli: continuano così i romanzi, da leggere tutto d’un fiato, senza perdersi nulla, né i capitoli precedenti, né quelli che trascinano chissà dove, in quell’ignoto da definire ricamando da solo; però adesso che sta (quasi) per cominciare, conviene lasciarsi andare un po’ ai ricordi e un po’ nel passato, d’un Magnifico Lorenzo, Insigne cantore d’un calcio per poeti.

MON AMOUR – C’era una volta, e mica tanto tempo fa, un Walter Sabatini innamorato perso: estate del 2012, una fase del progetto, idee di 4-3-3 scritte nel marmo giallorosso, con Zeman architrave di quel progetto. Insigne c’era già, nel suo piccolo, con le diciannove reti a Foggia (versione boema), con i diciotto gol al Pescara (promozione ispirata da ZZ) e ritrovarselo nella lista della spesa fu inevitabile: poteva accadere, certo, ma non accadde per la fiera opposizione di De Laurentiis, per il suo no secco a qualsiasi trattativa, per il suggerimento rivolto a Mazzarri di tenerlo, di portarlo in ritiro, di tastarlo. Giovane e forte: perché mai privarsi d’un talento del genere, d’uno scugnizzo ormai già educato a correre in avanti (e anche all’indietro), a tagliare, a cercare gli angoli lontani con quelle sue parabole perfidamente entusiasmanti. Però la Roma ci aveva fatto un pensierino e per arrivare sino a Insigne non avrebbe neanche badato a spese: la garanzia era racchiusa in tutto ciò che sapeva di lui Zeman, il maestro, ed era materiale in abbondanza.

CHE GOL – L’Olimpico, mica uno stadio qualsiasi: perché il 14 agosto, dunque due mesi fa, c’era pure Insigne nell’amichevole Italia-Argentina dedicata a Papa Francesco; e c’era con tutta la sua inventiva, con quella spregiudicatezza ch’è nel codice genetico di poeti del calcio. Il pallone sporco che rotola ai venti metri chiede un piede di seta e Lorenzino – Lorenzinho – ci mette il destro come sa fare, va all’impatto di collo-interno, trova la traiettoria imprendibile per «qualsiasi portiere», la frase magica che gli venne fuori dopo la punizione con il Borussia Dortmund. Effetto specialissimo, perché l’Olimpico ha un magnetismo quasi senza eguali, ha un fascino che stordisce e che richiede – dunque – capacità spiccate per esibirsi. Poteva essere il «suo» Olimpico, però lui era cresciuto in una culla chiamato San Paolo e De Laurentiis poi s’oppose, forzò la mano, gli diede una chance, gli offrì il San Paolo e la maglia come seconda pelle. Ma è Roma-Napoli è in quell’ora e mezza c’è pure la prima volta da avversario d’un club che l’ha (discretamente) cercato e poi c’è persino la prima rete con la maglia della Nazionale e infine c’è la voglia matta di mettersi in riga con il compagni di reparto – con Higuain e con Pandev, con Callejon e con Hamsik – perché fino a questo momento l’unico acuto resta quella diavoleria in Champions, con il Borussia Dortmund. Martedì il San Paolo, venerdì l’Olimpico: il mondo è d’Insigne.

Fonte: Il Corriere dello Sport

La Redazione

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