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Bruscolotti, quarant’anni di vera passione azzurra

Carmine Tascone ha creduto in lui da subito

Andrea Torino, buonanima, il dentista di via Chiaia che possedeva le chiavi di «re Lauro», non riuscì – fortunatamente – a resistere alle pressioni di Carmine Tascone, suo consulente di mercato, che insisteva nel proporgli un ragazzone che da due anni seguiva, spesso avventurandosi sui campi della provincia di Salerno, ai confini con la Basilicata. Quasi tutti i giorni Carminiello gli ripeteva, al telefono, una sorta di litania: «Dotto’, ‘o guaglione è de fierro, portatelo a Sorrento e non vi pentirete». Stremato dalle continue pressioni, Torino acconsentì a un provino pregando l’allenatore Todeschini di dare un’occhiata al difensore diciottenne che era l’anima della Pollese e alfiere della rappresentativa campana di categoria. Quel ragazzone Tascone lo aveva accompagnato per provini in mezza Italia. Fece tappa anche alla corte della Juve, dove Bruscolotti conobbe il factotum degli Agnelli in affari calcistici, Italo Allodi. Un’emozione mai dimenticata dall’allora sedicenne che ritroverà l’Italo al Napoli. A Sorrento i tifosi non si entusiasmarono più di tanto per l’arrivo del giovane di Sassano, figlio di un artista del torrone, fisico granitico e mascella già di ferro, come il carattere. E si vedrà presto. Torino pensò subito di non confermare Todeschini e di affidare la squadra a un altro ex del Napoli, Giancarlo Vitali, ala destra. Stagione 1970-71, un trionfo culminato con il primo posto a 51 punti, uno in più dell’armata Salernitana. Bruscolotti parte da quella stagione (24 partite e poi 36 nella successiva, quella della B prima di arrivare al Napoli) per una carriera da antologia riassunta dalle 511 presenze nel Napoli, tra campionato e coppe. Il suo record di bravura e fedeltà è nella storia del calcio italiano, non soltanto in quella del Napoli. Beppe attraversa così, con le sue molte vite in azzurro, un’epoca lunga che va da Juliano a Maradona del quale, insieme a Bagni, è stato e rimane il miglior amico, sempre accompagnato dalla dolcezza di Mary, moglie ideale. Numero due quello della maglia, numero uno per temperamento, onestà, spirito di sacrificio, senso di appartenenza: un modello di difensore puro per un calcio senza tempo. Marcava l’avversario soffiandogli sul collo anche nella Pollese. A Sorrento affinò la grinta studiando Mamilovich A Napoli trovò Dino Panzanato: gli esempi non gli furono avari e seppe trarne ampio profitto. Quando decise che era il tempo di cambiare lavoro, al termine della stagione ’87-’88, quella dello scudetto perduto. Aveva, però, firmato con i compagni il primo scudetto. Azzurro dal 1972 al 1988, più forte anche del virus che, grazie alla felice diagnosi dell’indimenticato Emilio Acampora, lo portò in ospedale in tempo per essere, anche in quella circostanza, primatista di una ripresa prodigiosa.

 

Fonte: Il Mattino

 

La Redazione

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