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Cannavaro: «Napoli, approfitta: senza Champions si può puntare allo scudetto!»

È tornato nella sua bella Napoli, sulla collina di Posillipo. «Esperienza straordinaria, quella vissuta a Dubai, ma era arrivato il momento  di chiuderla». Fabio Cannavaro, che nella scorsa stagione è stato il vice allenatore dell’Al Ahli, l’ultima squadra in cui ha giocato, è in attesa  di un progetto e di una panchina. Poco convincenti alcune proposte italiane, interessanti altre, presentate da club americani, spagnoli e inglesi. «Intanto, viaggio e mi aggiorno. Tra pochi giorni vado in Inghilterra per seguire gli  allenamenti di City e Arsenal». E, adesso che è tornato cittadino di Napoli  («Ma lo sono sempre orgogliosamente stato, in qualsiasi angolo del mondo»), incontrerà anche Benitez, con cui ha parlato mercoledì sera, dopo il ko a Bilbao, dagli studi televisivi di Mediaset, che lo ha scelto come opinionista per la Champions League.

Vivendo a Napoli, ha direttamente colto la delusione e la preoccupazione dei tifosi dopo l’eliminazione degli azzurri.
«La città vive di calcio, è l’unica valvola di sfogo che c’è. Comprensibile l’amarezza di tifosi che vorrebbero sempre il massimo: Maradona, ai suoi tempi, li ha “rovinati” perché li ha abituati molto bene… Certo, dopo ci  sono stati anni difficili, perfino il fallimento e la serie C1, ma il Napoli è cresciuto  in questi anni ed ecco perché la partecipazione alla Champions League e l’obiettivo scudetto sono legittime aspirazioni: la gente è abituata a divertirsi e  a lottare, non si accontenta di partecipare, vuole i risultati».

Da grande difensore, come giudica gli errori del reparto a Bilbao?
«Se si prendono quei gol, è la fase difensiva che non funziona, non la  difesa. E non lo dico per difendere i miei colleghi…».

Il problema del Napoli qual è?
«La squadra è stata profondamente rinnovata dal 2013. È passata da Mazzarri a Benitez, è cambiato il sistema di gioco, soprattutto sono cambiati i protagonisti in campo: da Lavezzi e Cavani a Higuain e Callejon;  è appena andato via un centrocampista straordinario come Behrami; nelle ultime stagioni tre portieri – De Sanctis, Reina e Rafael – e l’assenza di Reina è pesante perché ha esperienza ed è un leader. La squadra non ha un’ossatura, il   gruppo ancora non c’è. L’eliminazione dalla Champions è molto negativa, soprattutto per la società, che avrebbe incamerato notevoli  risorse, ma ora si può puntare in maniera più decisa allo scudetto perché si sa che la massima competizione europea assorbe energie pazzesche».

Benitez ha chiesto l’appoggio dei tifosi dopo il ko in Spagna.
«L’ho visto demoralizzato alla fine della partita a Bilbao. È un allenatore  di grande esperienza e sa che l’esclusione dalla Champions creerà un contraccolpo psicologico. C’è un solo modo per superarlo, subito: vincere  contro il Genoa al debutto in campionato. Un successo restituirebbe serenità alla squadra».

Per lo scudetto il Napoli è più indietro rispetto a Juve e Roma?
«Io credo che assisteremo a un campionato divertente proprio perché non c’è  la grande favorita. La Juve di Conte partiva sempre in prima fila per  lo scudetto, ma adesso Conte non c’è e quindi la squadra non è più la più autorevole candidata al titolo. La Roma ha fatto alcune importanti operazioni, ma ha perso Benatia. Il Milan ha preso Torres, mi è piaciuto il mercato della  Lazio e quanto al Napoli c’è da cogliere, a fronte della rabbia per l’eliminazione, l’aspetto della minore incidenza degli impegni infrasettimanali, perché l’Europa League ha un differente peso. Le grandi squadre  sono tornate sulla terra e questo può rendere la serie A più interessante».

Si è aperto il dibattito sul mercato portato avanti da De Laurentiis, Benitez e Bigon: come lo giudica?
«Intanto, non capisco come in partite come quelle con l’Athletic sia stata  presa la decisione di rinunciare a calciatori come Inler, Dzemaili, Pandev e   Zuniga. Ma solo chi vive all’interno del Napoli conosce la verità e può anche spiegare perché sono stati effettuati certi acquisti e non altri. La squadra è  arrivata al terzo posto e la società si è concentrata su alcune cessioni,  anche quella di Fernandez: eppure per farlo giocare erano state fatte carte false un anno fa .C’è un aspetto che va colto, prioritario rispetto ad altri».

Quale?
«Per il vero salto di qualità non bastano solo grandi calciatori. Servono lo stadio di proprietà e il centro sportivo. Le istituzioni e il Napoli devono unirsi  affinché la città sia dotata di una grande struttura che divenga il fiore all’occhiello, come lo è il San Mamés per Bilbao. Napoli è prima al mondo per  la passione dei suoi tifosi, ma è anche ultima in Italia per qualità e funzionalità dello stadio. Durante i Mondiali in Brasile mi sono confrontato con Wenger,  il manager dell’Arsenal. Mi ha spiegato il significato dello sforzo fatto per edificare l’Emirates Stadium a Londra, a cominciare dalla necessità di  assicurarsi ogni anno la qualificazione in Champions per rispettare gli  impegni con le banche. Adesso lo stadio rappresenta il 30 per cento del fatturato dell’Arsenal. Il centro per il settore giovanile, poi, è fondamentale: perché i ragazzi cresciuti in casa sono la forza di una squadra, le danno una identità, come nel caso dei calciatori dell’Athletic Bilbao».

L’identità può averla il Napoli, che ha acquistato soltanto stranieri da quando c’è Benitez?
«Scherzavo l’altra sera negli studi televisivi con Oriali, che è stato dirigente  dell’Inter ed è ora il team manager della Nazionale, sugli undici  stranieri, o quasi, schierati dai nerazzurri in ogni partita anni fa. Non è un aspetto che riguarda una sola squadra, quindi. Io sono amico di tanti calciatori non italiani, ma è giusto dire che la loro massiccia presenza crea problemi al nostro calcio, anche perché non sempre vengono acquistati fenomeni. Anzi. Eppure, le società seguono questa strada, forse per business, e non si pongono il problema degli italiani che non giocano. Servirebbero regole differenti, anche se tornare al tetto dei tre stranieri non è più possibile. Eppure certe norme, a  suo tempo, consentirono all’Under 21 italiana di vincere titoli europei a  ripetizione e i calciatori di quelle squadre, arrivati alle nazionali maggiori,  riuscirono a giocare due finali mondiali, nel 1994 e nel 2006. L’arretratezza  del sistema è evidente».

Cosa fare?
«Prendo esempio dalla Germania, Paese che esprime la nazionale campione del mondo e squadre di statura mondiale: i club hanno l’obbligo di destinare il 10 per cento del fatturato al vivaio, da noi al massimo la quota utilizzata è del 2 per cento. Ci sono regole che aiutano la formazione dei giovani, con evidente vantaggio per le squadre. A questo aspetto vanno aggiunti gli stadi di proprietà, che consentono alle società, non più governate da mecenati come avveniva in passato, di essere solide sotto l’aspetto economico. La Nazionale, purtroppo, è lo specchio del campionato: siamo usciti dai Mondiali, al primo turno, nel 2010 e nel 2014 e in quelle squadre i  calciatori più importanti avevano oltre trent’anni. E i giovani? Si fa fatica a farli crescere anche perché non giocano più per ore a pallone in strada, come accadeva a noi. Ma poi in città come Napoli dove sono le strutture?  Io sono partito dal campo dell’Italsider a Bagnoli, poi ho giocato a Marianella e Soccavo: tutti chiusi. Parlo di tre campi su cui sono passati tanti calciatori, a prescindere dal sottoscritto».

Anche con Conte alla guida della Nazionale non c’è da essere ottimisti.
«Antonio è il migliore allenatore e ha eccellenti idee: vuole creare non soltanto una Nazionale forte, ma anche un laboratorio, valorizzando al massimo le strutture federali. Non può farcela da solo. Va supportato dall’intero movimento affinché riesca a far tornare vincenti l’Italia e il calcio italiano».

E Cannavaro quando debutterà in panchina?
«È stata positiva l’esperienza nella scorsa stagione a Dubai come vice  allenatore. Ho preso il patentino, voglio fare l’allenatore, però mi rendo conto di dover aspettare. Continuo a viaggiare e ad aggiornarmi, ho deciso cosa  fare adesso».

Fonte: Il Mattino

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