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Carratelli: “Ciao Cavani, ultima cessione eccellente da Jeppson ‘O Banco ‘e Napule’ a ‘Re Diego’ Maradona”

Nella storia del Napoli non solo una serie di acquisti eccellenti, ma per un verso o per l’altro, e per fare cassa soprattutto dopo i sette anni di Maradona che avevano prosciugato il bilancio azzurro, anche una serie di cessioni eccellenti. Ricordiamo le più memorabili che hanno preceduto il trasferimento di Cavani al Paris Saint Germain col maggiore introito mai registrato dal Napoli (63 milioni di euro).
IL BANCO DI NAPOLI
La prima cessione eccellente, cito a memoria, mi sembra sia stata quella di Hans Jeppson. L’attaccante svedese giunse nel Napoli a 27 anni. Era il 1952 e Lauro lo pagò 105 milioni, cifra record per quei tempi: 75 all’Atalanta e 30 al giocatore sul suo conto svizzero, perciò fu definito “il Banco di Napoli”. Biondo, fisico robusto, un combattente in campo, gran legnata. Epici i duelli con gli stopper del tempo. Contro il torinese Nay e il laziale Malacarne, le partite finivano con le caviglie insanguinate di Jeppson e dei difensori che lo marcavano. Nel Napoli giocò 112 partite segnando 52 gol.
Lo svedese non entrò mai nelle simpatie di Lauro che disertò il suo matrimonio con la napoletana Emma Di Martino al Faito. Anche Amadei, da allenatore, era prevenuto nei riguardi dello svedese per le presunte avventure sentimentali di Hasse al Tennis Napoli (era un eccellente tennista e si parlò di una love-story con la campionessa italiana Silvana Lazzarino). Poi fallì l’accoppiata con Vinicio, reclamizzata come la V2 del Napoli.
Lauro sapeva dei contatti che Jeppson aveva con l’Inter per trasferirsi a Milano. Questo aumentò il “distacco” fra il presidente e il giocatore. Proprio di ritorno da un incontro a Roma con emissari dell’Inter, Jeppson ebbe un incidente stradale sulla “fettuccia” di Terracina. La sua Alfa 1900 finì contro un albero per scansare un cane. L’autista morì sul colpo, il calciatore rimase ferito e saltò le prime quattro partite del campionato 1955-56.
Alla fine di quel campionato, Lauro lo cedette al Torino. Jeppson giocò appena 19 partite in maglia granata segnando 7 gol. Aveva 31 anni ed aveva già deciso di smetterla col calcio per diventare il rappresentante di una industria svedese di perforatrici e compressori, l’Atlas Copco.

IL LEONE BRASILIANO
“Vendetevi l’anima ma non Vinicio” diceva lo striscione che apparve al San Paolo, appena inaugurato, quando si diffusero le voci della cessione dell’asso brasiliano. Era il campionato 1959-60. Vinicio era giunto nel Napoli a 24 anni nel 1956. Nel Botafogo, la sua squadra brasiliana, lo chiamavano già “leone”. Era un centravanti poderoso, poco brasiliano nei tocchi, devastante nella corsa e nel tiro.
Opzionato dalla Lazio, Lauro convinse il presidente laziale Mario Vaselli, un costruttore romano, a lasciargli il giocatore promettendo a Vaselli l’appalto per il rifacimento di Piazza Municipio a Napoli. Con 50 milioni al Botafogo, la metà di quanto era costato Jeppson, Vinicio vestì la maglia azzurra. Nel Napoli giocò 152 partite segnando 69 gol. La prima rete la realizzò in 40 secondi dalla palla al centro, contro il Torino. Il Napoli giocava ancora al Vomero.
Vinicio divenne l’idolo dei tifosi per la straripante fisicità, i gol, l’attaccamento alla maglia azzurra. L’ultimo suo squillo fu il gol con cui il Napoli batté la Juventus (2-1) nella domenica della inaugurazione del San Paolo (6 dicembre 1959, sugli spalti 80mila spettatori).
Le due ultime stagioni di Vinicio furono in calo, ma soprattutto divampava nello spogliatoio una vera guerra dei lunghi coltelli. Amadei osteggiava soprattutto Vinicio e il suo amico Pesaola. Mise in giro la voce che il brasiliano stesse male per il numero insufficiente di globuli rossi. Convinse Lauro a cedere il giocatore.
Vinicio passò al Bologna in cambio di tre giocatori, il più noto era Pivatelli, più il versamento di 122 milioni al club emiliano. Una follia. Lauro prese anche Gratton dalla Fiorentina e, nelle campagne elettorali, promise che il Napoli avrebbe vinto lo scudetto. La squadra, invece, fallì miseramente e retrocesse in serie B.
Vinicio andò via nel 1960. Aveva 28 anni ed era ancora nel pieno della sua forza di cannoniere-sfondatore. Continuò a giocare in Italia, ancora 196 partite segnando 86 gol. Più a lungo giocò nel Vicenza (141 partite, 68 reti). Smise di giocare a 36 anni.

IL POETA DEL GOL
Fu Gioacchino Lauro, su indicazioni di Pesaola, a prelevare Claudio Sala dal Monza nel 1967 per 125 milioni. Il giocatore aveva vent’anni, grande promessa del calcio italiano. Ma non ebbe spazio nella squadra di Altafini e Sivori. Giocò 23 partite (2 gol), spesso confinato all’ala sinistra e visibilmente osteggiato da Josè che non gli passava mai la palla.
Nel 1969, Ferlaino, subentrato nel Napoli e trovando le casse vuote e molti debiti, lo vendette al Torino per 470 milioni.
Claudio Sala divenne il “poeta del gol” nel Torino di Graziani e Pulici. Con la squadra granata giocò 365 partite (22 gol). Finì la carriera nel Genoa (41 partite) lasciando il calcio a 35 anni.

NEMBO KID
Un altro colpo di Gioacchino Lauro nel 1967, sempre ispirato da Bruno Pesaola, fu l’acquisto di Dino Zoff. Il Napoli versò al Mantova 120 milioni più la cessione del portiere Bandoni. Il Mantova lo aveva preso per 30 milioni dall’Udinese.
Dino aveva 25 anni quando giunse a Napoli. Debuttò al San Paolo in un’amichevole contro la squadra argentina dell’Independiente e fu soprannominato “Nembo Kid” per le parate sensazionali.
Il suo idolo era il portiere inglese Gordon Banks, la sua dote il piazzamento. Nel Napoli rimase cinque stagioni (190 partite tra campionato e coppe, 143 in campionato) giocando 141 gare di seguito prima di fermarsi per la frattura del perone mettendo il piede in una buca in allenamento (40 giorni di gesso, saltò sette partite). Nel campionato 1970-71 rimase imbattuto per 590 minuti dalla prima giornata del torneo.
Nel 1972, a trent’anni, Ferlaino lo cedette alla Juventus per 330 milioni più il portiere Carmignani. Nella Juventus, Zoff giocò sino a 41 anni: fra campionato e coppe 479 partite (330 in campionato).

CORE ‘NGRATO
Fu Roberto Fiore a prendere Josè Altafini dal Milan per 280 milioni nel 1965. Fra campionato e coppe, Josè giocò nel Napoli 234 partite segnando 97 gol (in campionato 180 partite, 71 reti).
Arrivò che aveva 27 anni, fu ceduto alla Juventus a 34 anni nel 1972. Svincolato, Ferlaino non accettò di tenerlo ancora anche a gettone (un milione a gara). Nella Juventus, Altafini giocò 119 partite (37 gol) fra campionato e coppe (74 in campionato, 25 gol). A 38 anni andò a giocare nel Chiasso (33 partite, 16 gol) e finì la carriera a 41 nel Mendrisio (28 partite, 11 gol).
Contro Zoff e Altafini da ex nella Juve cadde il Napoli allenato da Vinicio che andò a Torino a sfidare i bianconeri per lo scudetto. Zoff negò a Juliano il gol del 2-1 per il Napoli. Altafini, core ‘ngrato”, segnò il 2-1 per la Juve a due minuti dalla fine (6 aprile 1975).

IL RAGAZZO DI VIA MANZONI
Ciro Ferrara, il ragazzo di via Manzoni che a 15 anni apparve al Campo Kennedy nelle giovanili del Napoli, e con la squadra azzurra degli Allievi vinse il suo primo scudetto (1984), debuttò in serie A a 17 anni il 5 maggio 1985 nella squadra di Maradona. Rino Marchesi lo mandò in campo al San Paolo contro la Juventus al posto di Moreno Ferrario infortunatosi al 29’. La gara finì 0-0. Boniek concluse la gara lamentandosi della dura marcatura di Ciro che al polacco non aveva fatto toccare palla.
Ciro ha giocato nel Napoli 322 partite (15 gol) fra campionato e coppe (in campionato 247 partite, 12 gol). In maglia azzurra è rimasto dieci anni. Una vera roccia. Memorabile il gol di Stoccarda al tedesco Immel, uno shoot rapido e di potenza, nella finale di Coppa Uefa 1989 conquistata dal Napoli. Corse felice per tutto il campo, Maradona lo raggiunse e lo baciò in fronte. Nel corso della premiazione, Diego gli consegnò la Coppa Uefa dicendogli: “Sei tu il più grande, Ciro”.
Al Napoli era costato nulla, crescendo nelle giovanili azzurre. Ferlaino lo cedette alla Juventus nel 1994 per 9,4 miliardi. Con la squadra bianconera, Ciro giocò 358 partite (20 gol) fra campionato e coppe (in campionato 253 partite, 15 gol). Smise a 38 anni.

IL PIBE DI OLIENA
Fu Luciano Moggi a portare Gianfranco Zola al Napoli nel 1989. Gianfranco aveva 23 anni, prelevato dalla Torres per 300 milioni. In allenamento “spiava” le giocate di Maradona. Aveva talento e, quando Diego lasciò, Zola fu soprannominato “il pibe di Oliena”, il suo paese natale in Sardegna. Qualcosa a Maradona aveva “rubato”, specie sui calci di punizione (superò la percentuale di realizzazione dell’argentino). Era piccolo come Diego (1,68) che lo canzonava chiamandolo “nano”. Divenne l’erede di Maradona il 17 febbraio 1991 a Pisa. Non c’era Careca, Diego si prese la maglia numero 9 e consegnò la “10” a Gianfranco. Fu come una investitura.
Zola arrivò l’anno del secondo scudetto giocando solo 18 partite e segnando due gol. Un giorno disse: “Ho vissuto nel mito di Riva, ho carpito i segreti di Platini, mi sono laureato con Maradona”. Lo chiamavamo “Merendina” perché era ghiotto di dolci. Forte carattere sardo, dolcissimo nei rapporti. Nel Napoli giocò 136 partite (36 gol) fra campionato e coppe (in campionato 105 partite, 32 gol).
Col Napoli in profondo rosso, Ferlaino lo cedette al Parma per 13 miliardi nel 1993 (102 partite, 49 gol con la squadra emiliana). Nel 1996 passò al Chelsea (230 partite, 59 gol), designato miglior giocatore del club londinese e, nel 2004, insignito dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero britannico. Concluse la carriera nel Cagliari (81 partite, 27 gol) smettendo a 39 anni.

PALLA DI GOMMA
Cominciò da raccattapalle al San Paolo e vedendo giocare Ferrara si fece una promessa: “Voglio diventare Ciro Ferrara”. Diventò Fabio Cannavaro, napoletano del quartiere Loggetta a Fuorigrotta, non lontano dallo stadio, campione del mondo e Pallone d’oro nel 2006.
Iniziò a giocare nell’Italsider di Bagnoli. A undici anni entrò nelle giovanili del Napoli. In prima squadra lo lanciò Ottavio Bianchi nel 1992 facendolo debuttare a 19 anni a Torino contro la Juventus. Terzino sinistro e poi stopper, giocatore esplosivo detto “palla di gomma”, insuperabile negli stacchi di testa.
Nel Napoli giocò 68 partite (un gol) tra campionato e coppe (in campionato 58 partite, un gol al Milan). Ceduto al Parma nel 1995 per 13 miliardi col Napoli senza soldi e sull’orlo del fallimento. Aveva 22 anni e una lunga carriera davanti. 287 partite e 5 gol col Parma, 74 partite e 3 gol con l’Inter, 128 partite e 7 gol con la Juventus, 118 partite e un gol col Real Madrid.
Ha smesso a 38 anni giocando a Dubai nella squadra Al-Ahli degli Emirati Arabi Uniti.

IL RE DI TRASTEVERE
Bruno Giordano, trasteverino, entrò da goleador assoluto nella storia della Lazio (108 reti in 254 partite). Stroncato dal calcioscommesse e dalla rottura di tibia e perone, sembrò perduto per il calcio. Allodi scommise su di lui portandolo al Napoli a 29 anni per 5 miliardi alla Lazio. Grazie alla sua grandissima tecnica, l’intesa con Maradona fu immediata.
Vinicio che lo aveva allenato nella Lazio disse: “La cosa che più mi stupì di Giordano fu la semplicità con cui faceva le cose difficili. Si avviava a diventare uno dei migliori calciatori d’Europa, sicuramente il miglior centravanti italiano. Aveva un solo difetto, quell’aria scanzonata che non gli faceva dare importanza a quello che faceva ed era incostante nel rendimento”.
Giordano giocò nel Napoli 101 partite (37 gol) fra campionato e coppe (in campionato 78 partite, 23 gol). Coinvolto con Garella, Ferrario e Bagni nella “rivolta dei quattro” contro l’allenatore Bianchi, fu ceduto all’Ascoli nel 1988 per 780 milioni quando aveva 32 anni. Nella squadra marchigiana giocò 100 partite (16 gol) con un intermezzo nel Bologna (33 partite, 7 gol).

LA ROCCIA DI LAINATE
Moreno Ferrario, milanese di Lainate, arrivò a Napoli nel 1977 a 18 anni dal Varese. E’ stato uno dei più forti difensori degli anni Ottanta. Capitano e rigorista. Nella carriera azzurra , la “macchia” dell’autogol al primo minuto contro il Perugia al San Paolo che il Napoli non recuperò (0-1) perdendo la corsa per lo scudetto (26 aprile 1981, Rino Marchesi allenatore). A Krol scappò una bestemmia.
Per Ferrario 313 partite, 8 gol col Napoli. Cominciò con Krol, vinse lo scudetto con Maradona. Fece parte della “rivolta dei quattro” contro Bianchi e, svincolato, fu ceduto alla Roma nel 1988 a 29 anni. In maglia azzurra aveva giocato undici anni. Giocò successivamente nell’Avellino, nel Siena, nella Cremonese, nel Saronno. Dopo Napoli, altre 144 partite. Smise a 36 anni.

Fonte: Il Napolista.it

La Redazione

M.V.

 

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