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Dalla serie C al secondo posto, per il Napoli dieci anni per arrivare al top

Una lunga cavalcata per arrivare a giocarsela con le migliori in Italia ed in Europa

Dieci anni (circa) per ritrovarsi dalla polvere del sottoscala del calcio all’anticamera della Reggia Europea: dieci anni (quasi) per scoprire che dalle ceneri del Fallimento è rinata una stella, anzi due, pardon tre, e che oltre a Cavani e ad Hamsik, a De Sanctis e Pandev c’è un progetto che vale, eccome se vale, centocinquanta milioni di euro (circa) che sfileranno alla Scala del football. Dieci anni (tra un po’, soltanto qualche mese ancora per dar via al decimo torneo) consumati per cercare e trovare un’identità autentica, per lasciar germogliare talenti in erba cresciuti in casa (Insigne) o per andarli a scovare e valorizzarli (Hamsik). Dieci anni e una continuità testimoniata attraverso le stagioni di De Sanctis e di Maggio, di Cannavaro e di Campagnaro, ma anche la fertilità degli innesti di Behrami e di Dzemaili (e perché no di Inler e di Armero?). Dieci anni fa – per l’esattezza nove – manco il più ottimista si sarebbe spinto ad immaginare un Milan-Napoli di questo spessore tecnico (ed economico), affrontato guardando occhi negli occhi quella squadra che mentre al San Paolo approdava il Cittadella se ne andava in giro per l’Italia con lo scudetto al petto. Il tempo è un galantuomo, ha rapidamente lenito le ferite del Fallimento ed ha riscritto il destino d’un club che nell’era De Laurentiis è già riuscito a sistemare una pietra persino ai ricordi di un’estate (calcisticamente) drammatica, attraversata interrogandosi sul futuro. C’è Milan-Napoli e in un’ora e mezza è concentrata la sintesi d’una rivoluzione avviata con decisione, affidandosi al fair play finanziario senza però rinunciare agli investimenti mirati utili per sovvertire le gerarchie dell’epoca e per sistemarsi al fianco dei club più titolati d’Italia (e pure d’Europa), per attrezzarsi d’un organico in cui abbondano i Nazionali – tredici nelle ultime convocazioni – e che prevede pure una panchina con prospettive incoraggianti, per attrezzarsi sino al punto di poter avere qualche prestito sparso qua e là nel Mondo (Fernandez in Spagna con il Getafe, Vargas in Brasile con il Gremio ma anche Cigarini all’Atalanta) da verificare ad oltranza per ipotizzarne possibili rientri alla base. Dieci anni – o giù di lì – per (ri)mettersi in viaggio verso Milano, standosene accucciati tra le nuvole, sentendosi un po’ i «cuginetti» (non certo poveri né di fatturato, né di risultati, né di idee) di Paperon de’ Paperoni di quel calcio «arricchito» attraverso una filosofia che è stata abbondantemente ripagata dal campo e che – tecnicamente, economicamente – s’è rivelata un’autentica miniera.

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

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