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Il Mattino – Calciatori e ultrà, patto per il rinnovo dei contratti

Sette arresti per i raid dei tifosi. Il procuratore: con l’amicizia degli ultras possibili pressioni sulla società

Per il giudice Luigi Giordano, i calciatori del Napoli farebbero bene a tagliare i ponti con certe frange del tifo organizzato che con la cultura sportiva hanno poco a che spartire. Per il procuratore aggiunto Gianni Melillo, invece, «alcuni giocatori del Napoli mantengono i contatti con i gruppi di ultrà anche perché ritengono che questi ultimi possano influire sulle scelte della società al momento del rinnovo del contratto». È la cornice dell’ultimo blitz contro frange di teppisti da stadio: 11 misure cautelari (tra arresti in cella, ai domiciliari e obblighi di presentazione alla pg), colpito lo zoccolo duro del tifo organizzato, manette ai presunti esponenti del «Bronx», un gruppo nato più di dieci anni fa, padrone di una sezione della curva A e protagonista – secondo le indagini – di numerosi episodi di rappresaglia contro tutto e tutti: forze dell’ordine, società, tifosi avversari in Italia e all’estero, ma anche esponenti della società napoletana. Due anni di indagine, agli arresti finisce Francesco Fucci, classe ’79, precedenti per droga, ritenuto vicino ai Mazzarella, capo indiscusso del gruppo «bronx». E si fa luce sui rapporti (non sempre lineari, spiegano i pm) tra alcuni calciatori e il tifo violento. Se da un lato, quelli del gruppo Fucci – scrive il gip Giordano – «esercitano una sorta di pressione sugli atleti professionisti e riescono ad intrattenere con alcuni di essi taluni rapporti, grazie alla permanenza nei luoghi di allenamento», dall’altro lato però alcuni giocatori del Napoli dovrebbero porsi un problema di opportunità. Più in particolare: «Nessuna condotta illecita è ascrivibile ai calciatori. Pur tuttavia, simili contatti andrebbero evitati da parte di atleti professionisti perché non consistono in relazioni con “normali” tifosi appassionati di sport. Di certo poi queste persone non andrebbero frequentate quando sono ristrette in regime di arresti domiciliari». Chiaro il riferimento alla visita di cortesia dell’ex difensore del Napoli Santacroce in casa di Fucci, mentre era ristretto per storie di droga. Ma è il procuratore aggiunto Melillo a rincarare la dose, tanto da tirare in ballo i rapporti tra Lavezzi e il boss emergente Antonio Lo Russo, a proposito del tentativo di qualche giocatore di fare sponda su alcuni capi-ultrà per influenzare le scelte della società al momento del rinnovo del contratto. Storia nota quella di Lavezzi e Lo Russo, tanto che l’interrogatorio del «pocho» finisce agli atti dell’inchiesta «bronx». Sentito nel corso di un’altra vicenda giudiziaria – quella del riciclaggio sul lungomare – Lavezzi aveva dichiarato che per lui Lo Russo era solo un capoultrà: quando nel 2010 si erano diffuse indiscrezioni sulla vendita di giocatore, Lo Russo aveva piazzato uno striscione a favore del pocho sugli spalti del San Paolo. Ce n’è abbastanza per parlare di tentativi di condizionamento verso la società in materia di ingaggio? Accertamenti della Digos del primo dirigente Filippo Bonfiglio, al lavoro il pm Antonello Ardituro, Danilo De Simone e Vincenzo Ranieri. Agli atti per il momento ci sono due anni di scontri violenti, raid teppistici preparati a tavolino, in onore a uno stile di vita militare: l’inchiesta ha svelato logiche e comportamenti di 7000 elementi che si dividono in 14 gruppi ultras del San Paolo. Storia di scontri violenti: nei pressi della stazione centrale contro bergamaschi e veronesi, a Udine, finanche in Romania in occasione della trasferta Uefa contro lo Steaua, o a anche in Inghilterra contro i nipotini degli hooligan di Liverpool. Eccoli quelli del «bronx», un gruppo di cinquanta teppisti – a leggere gli atti – integralisti della violenza: sempre vestiti di nero, bollati con un tatuaggio con slogan di rabbia verso le istituzioni (da rimuovere in caso di uscita dal gruppo), dotati di spranghe, coltelli, catene, cinturoni da brandire nel corpo a corpo contro le odiate divise della polizia. Tutto veniva organizzato a casa del capo (in gergo «bar» o «baretto»), o sotto le rampe del Centro direzionale il venerdì pomeriggio, quando mancavano poche ore alla partita del Napoli o al passaggio di tifosi avversari: storie che con il risultato finale dell’undici azzurro hanno davvero poco a che spartire.

 

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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