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La banda Mazzarri soffre di vertigini

Salendo sulla torre del campionato, la prima cosa da non fare è guardare in basso. Meglio dirigere lo sguardo verso il punto più lontano e soprattutto il più alto. Si evita di finire intrappolati nel panico delle vertigini: totale perdita dell’equilibrio e fine dell’ascesa. Più o meno quello che è capitato al Napoli sabato pomeriggio. Giocarsi il primato con la Juventus è stato come una gara di palleggi in cima alla Torre Eiffel; ha vinto chi – più per DNA ereditato che per esperienza diretta – aveva maggiore abitudine all’impresa. Chiamiamola una lezione di vita, utile per il futuro, indispensabile per rivedere il passato prossimo. Chi sa quante volte l’avrà rigiocata la partita, Walter Mazzarri? La suggestione di aver azzeccato la tattica perfetta per più di un’ora è stata fortissima, anche l’effetto Juventus Stadium era stato esorcizzato, prima che quell’amnesia portasse a dimenticarsi della presenza di Caceres in mezzo all’area. Un attimo ed è stato il crollo di un’illusione, mai così concreta. Ogni singolo atto di quella partita gli sarà ritornato in mente, dalla traversa colpita da Cavani al il minimo passaggio sbagliato, figurarsi quella sciagurata disattenzione difensiva. Che cosa cambierebbe, adesso Mazzarri, se gli fosse concessa la rivincita immediata? Metterebbe Insigne prima, per indicare all’avversario la chiara volontà di supremazia, senza accontentarsi? Oppure chiederebbe a tutti di rintanarsi in area per la più eroica interpretazione del calcio all’italiana? Probabilmente nessuna delle due ipotesi estreme troverebbe realizzazione, e non per ostinazione perversa, ma per convinzione intima. E’ la sua forza, contestargliela sarebbe come imporre a Sansone il taglio della chioma. E’ soprattutto la ragione di quel logorio che onestamente ha denunciato ancor prima che la partita dell’anno si giocasse: soffre e consuma energie peggio che se ci fosse lui in mezzo al campo. La possibile voglia di fermarsi nasce da lì, dalla fatica psicologica sulla quale ha costruito però il proprio successo. E’ la grande contraddizione che deve essere rimossa o risolta. Non se ne esce. Potrebbe aiutare una vittoria, una grande vittoria, più grande della Coppa Italia. Sarebbe la conferma della qualità che tutti accreditano alla squadra e al suo allenatore. Per questo l’Europa League con le sue trasferte avventurose funziona benissimo come prova generale. Abitua a esercitare l’arte del dominio: vincere fa sempre bene, al corpo e allo spirito.
L’impressione è che non manchi molto al gran salto, malgrado la sconfitta subita contro la Juventus: è una questione di testa, di dove puntare la testa. Questo Napoli è fatto per volare alto, e non solo perché ha il più forte cannoniere del campionato e, dietro di lui, delle alternative che prima erano inesistenti. Dal trio di tenori si è passati a un coro, sempre diretto benissimo dal podio. Nonostante si parta dal mare di Napoli, andrebbero bene quei canti alpini che aiutano moltissimo nelle arrampicate. Guardando la cima e mai la valle. Solo così si conquistano le vette.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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