Morti, feriti e biscotti. Antonio Juliano gioca a fare l’Adriano Celentano della situazione. «Sono il più ignorante di tutti qui, ma qualcosa posso raccontarvela anche io». Davanti al presidente del Tribunale di Napoli, Carlo Alemi, al capo della Procura federale, Stefano Palazzi, a decine di avvocati e magistrati (Bruno D’Urso, presidente aggiunto dei gip è appena andato via) lo storico capitano azzurro si lascia andare a un vero e proprio outing su come si taroccavano i match negli anni ’60 e ’70. «I due capitani erano anche i leader: parlavano tra di loro prima di una gara e capivano se si poteva fare. Ma mai per soldi, mai perché c’era qualcuno al di fuori dello spogliatoio che ci dicesse cosa fare. E mai per un tornaconto personale».
L’aula dove è in corso il convegno organizzato dall’associazione Azzurra Lex ascolta incuriosita. Totonno è un fiume in piena. È stato il capitano, il leader, l’anima del Napoli per più di 16 anni. Ed è rimasto sincero, diretto, schietto. A volte anche troppo. Come stavolta, forse. Racconta: «Prima di un Napoli-Milan ultima giornata di campionato, mi misi d’accordo con Rivera perché finisse in parità. Andai dai miei compagni e glielo comunicai. A un certo punto perdevamo (rete di Bigon al 74’ ndr) e gli altri mi dicevano: “Ma come? Ci hai detto che avremmo pareggiato…”. Allora io andai da Albertosi e gli ricordai che avevamo fatto un patto e che non capivo perché non lo stessero rispettando. E lui replicò: “Capitano, ma che devo fare se io mi sposto a destra e i tuoi mi tirano la palla addosso?” Questo mi disse…». Poi arriva la svolta. «Angolo al 90’, Vinazzani che è uno che di gol di testa in carriera non ne ha mai fatti, va in mischia e firma il pareggio. E tutti eravamo felici: più di tutti i tifosi».
La partita in oggetto è Napoli-Milan del 7 maggio 1978, ultima di campionato. Con quel pari il Napoli, insieme con il Milan, andarono in Coppa Uefa. Gianni Rivera al telefono nel pomeriggio non ricorda l’episodio specifico: «Però capitava che si parlava tra di noi prima di una gara, poi però ognuno giocava la propria partita», spiega l’ex bandiera rossonera. L’inarrestabile Juliano dribbla da fenomeno anche le critiche dei presenti. Come quelle di Carlo Alemi. «Non c’erano soldi in ballo, ma non per questo è un comportamento accettabile». Palazzi resta immobile ma ogni tanto gli scappa via una smorfia. Forse gli vengono in mente le parole di Gianluigi Buffon alla vigilia dell’Europeo: «Chi conosce il calcio e lo vive giorno dopo giorno sa cosa succede. In alcuni casi si dice meglio due feriti che un morto». Juliano si toglie anche qualche altro sassolino, come lo sgarbo fatto alla Lazio nel ’73: «Chinaglia mi chiese di vincere al San Paolo l’ultima gara: io dissi di no. Ma non perché mi ero messo d’accordo con la Juve, ma perché i dirigenti laziali avevano trattato male Vavassori che era stato a Roma a fare il militare».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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