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La scossa di Mazzarri non tradisce mai

Il Napoli ha vinto ma ha rischiato il gol del pari contro i veronesi, rimasti in dieci per il rosso a Vacek ed etichettati come bestia nera dopo alcune negative esperienze del passato. Massima tensione, fino alla fine: fa parte del Dna di questa squadra che sa vincere e soffrire. Mazzarri ha saputo resettare il Napoli dopo la trasferta in Ucraina, attirando da consumato psicologo l’attenzione su se stesso, con una scoppiettante conferenza prepartita. Servono anche questi sottili accorgimenti.
L’allenatore ha dovuto ridisegnare in extremis l’attacco rinunciando alla stella delle stelle. Cavani, colpito da dolori muscolari, è stato invitato dai medici a non rischiare in vista della trasferta a Bergamo e così in campo è tornato Insigne, a 56 giorni dall’ultima partita da titolare in campionato. Il ragazzo si è dato da fare, correndo sulle fasce e proponendo servizi per Pandev e Maggio, non incisivi. Il giovane Lorenzo ha qualità evidenti, anche se dovrebbe migliorare in altruismo poiché l’età lo spinge a cercare spesso la soluzione individuale.
Quanto accaduto a Catania (e davvero stavolta al Cibali s’è visto qualcosa di clamoroso) è grave per la credibilità del calcio italiano. La Juve ha vinto con un gol irregolare di Vidal, perché era in fuorigioco Bendtner, dopo l’annullamento di una regolare rete del Catania, segnata da Bergessio. Il presidente del club siciliano, Pulvirenti, ha rivelato che sono stati i bianconeri a spingere l’arbitro a cambiare idea, dopo 50 secondi di discussioni e incertezze. C’è stato anche il contributo del cosiddetto «addizionale», Rizzoli, che è stato più arbitro dell’arbitro Gervasoni e ha sussurrato al guardalinee Maggiani che Bergessio era in fuorigioco, facendo cambiare la prima corretta decisione. Rizzoli è lo stesso «addizionale» che sollecitò Mazzoleni a fischiare il rigore contro il Napoli nella sfida di Supercoppa a Pechino. Coincidenza preoccupante.
Quella sudditanza psicologica verso la Juve, evocata dai presidenti già quarant’anni fa, resiste a dispetto del braccio di ferro cominciato tra la famiglia Agnelli e la Federcalcio quando è stata annunciata da Torino una maxi-causa per risarcimento danni dopo Calciopoli. Pochi giorni fa il giovane e potente presidente ha anticipato un piano per la riforma del calcio. Non ha fatto riferimento al settore arbitrale, che non si è evidentemente riscattato dopo lo scandalo del 2006. Si dice: ora sbagliano ma in buonafede. Ciò non assolve gli arbitri e coloro che li governano. Non bastano le scuse del designatore Braschi a Pulvirenti. Da Catania a Firenze, da Torino a Roma vi è stata una clamorosa catena di errori, senza dimenticare le proteste del Chievo per un rigore negato da Celi nel finale al San Paolo.
Da anni il Palazzo del calcio è squassato da polemiche e tensioni. Non c’è una guida forte in Lega e la Federcalcio non riesce ad imporsi su presidenti che pensano ai loro interessi e si accorgono dei problemi del movimento soltanto quando si prospetta un danno per le loro tasche. Agnelli ha ragione, il calcio va rifondato. C’è bisogno di aria fresca, di pulizia. E soprattutto di non vedere più scene come quelle dei due gol di Catania. Ci sono squadre, a cominciare da Napoli e Inter, che vorrebbero giocare alla pari e da ieri sono sempre più perplesse, preoccupate, avvilite.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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