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LA STORIA – Raffaele Esposito, da grande promessa a ‘missionario’ del pallone

L'ex promessa di Padova e Catania è oggi un volontario per un'organizzazione no-profit, ecco il suo ''viaggio'' lungo una carriera

Bentrovati, gentili lettori, all’appuntamento settimanale con “La Storia” di IamNaples.it. Per quest’oggi, giovedì 29 maggio 2014, abbiamo deciso di raccontarvi di Raffaele Esposito, uno dei più grandi (ed acerbi) talenti made in Naples che, per strani scherzi del destino, è riuscito solo in parte ad avere dal calcio giocato quello che sarebbe spettato alla sua dote.

Ma il pallone non è solo reti, stadi pieni e soldi in tasca: il viaggio con Esposito, che muove i primi calci tra Napoli (ma il padre non poteva accompagnarlo ogni giorno fino a Soccavo) e Rapid Pomigliano, parte da Padova, passa per Catania, fa tappa in mezza Italia e torna a Pomigliano d’Arco, sua Città natale. Qui, appesi gli scarpini al chiodo e messa su una splendida famiglia, Esposito riparte dal calcio come solidarietà ed aiuto sociale per molti ragazzi ‘difficili’, senza perdere di vista però la sua passione per il mondo a spicchi bianchi e neri e l’ambizione che ne consegue.

Raffaele, a Catania ancora si ricordano di quel fantasista napoletano che, a fine anni ’90, faceva vibrare il Massimino.

Avevo poco più di 18 anni, ero di proprietà del Padova e, all’ombra dell’Etna, vissi una delle stagioni più belle della mia carriera. Quel Catania era davvero forte, c’era gente come Gennaro Monaco e, in panchina, mister Piero Cucchi. Eravamo in C2, ma vincemmo il campionato dopo un testa a testa con i cugini del Messina e guadagnammo la promozione in C1. La piazza di Catania, poi, è fantastica: non a caso è gemellata con quella azzurra. Eravamo in una categoria da ritenere inferiore, ma il pubblico era sempre quello delle grandi occasioni.

– Dopo quel campionato, 1998-’99 per la precisione, molte società cominciarono a mettere gli occhi su di te, uno dei più limpidi talenti di quegli anni.

Come anticipato, ero di proprietà del Padova. Con i veneti ho fatto la trafila da giovanissimi a Primavera e qualche panchina in B la stagione prima di approdare in Sicilia. Dopo l’anno a Catania tornai all’ovile ma avrei tanto voluto continuare a vestire la maglia rossoazzurra. 

– Al Padova, l’allora direttore sportivo Gianni Di Marzio decise che eri pronto a dare un contributo alla causa della squadra che ti aveva cresciuto.

Ovviamente, nonostante la mia volontà fosse totalmente differente, Di Marzio riteneva che essendo un ‘patrimonio’ del Padova Calcio avrei dovuto, in quell’anno difficile (la compagine biancorossa retrocesse dalla B alla C1 ndr), sposare la causa. E allora restai a Padova. 

– Che stagione fu?

A livello di squadra, davvero triste. Scendemmo in c2. A livello personale, molto tribolata. A fine campionato ’99, quando ero ancora a Catania, ebbi un infortunio alla caviglia: mi dissero che in un mese, massimo due, avrei smaltito i postumi di questo incidente di percorso, ma in realtà impiegai quasi sei mesi per riprendermi. Ovviamente, quando mi rimisi in sesto non potevo pretendere di trovare subito spazio nell’undici titolare. Ero giovane e la squadra era sotto pressione.

 

esposito catania

 

– Che sviluppi ebbe, allora, la tua carriera?

Cominciai un po’ a girare. Iniziai col Trapani dove incontrai uno degli allenatori a cui più sono rimasto affezionato, Eziolino Capuano. Eravamo in C2 e la società aveva molte difficoltà, io venivo dall’infortunio ma il mister dimostrò molta fiducia nei miei confronti. Purtroppo retrocedemmo all’ultima giornata, ma i tifosi ancora ci portano nel cuore: eravamo rimasti senza stipendio, non avevamo strutture dove allenarci e ricordo che spesso il mister ci chiedeva di farlo in un campetto dei vigili del fuoco. Era un grandissimo motivatore. Dopo il Trapani seguì Pierino Cucchi alla Juve Stabia ed alla Puteolana, ma poi decisi di tornare da Capuano. Era il 2002/03 ed il mister era alla guida della Battipagliese, in D. Scesi di categoria per soldi, un errore di gioventù che forse, col senno di poi, non ripeterei.

– Dopo la Battipagliese, però, la grande occasione: quel Martina Franca dei miracoli.

Dopo Catania il periodo più bello della mia carriera. In Puglia ritrovai Pietro Varriale, mio concittadino e grande amico, cresciuto come me nella Rapid Quadrifoglio Pomigliano del grande mister Lucchetti, un vero e proprio padre. Da quella piccola scuola calcio ne uscirono di giocatori, vedi Rea, Varriale stesso, Felice Piccolo o Coppola. 

– Cosa andò storto col Martina, terzo in C1?

Purtroppo anche lì un pizzico di sfortuna ostacolò i sogni miei e di una squadra che meritava la B. Arrivammo terzi in C1 ed ai playoff ci arrendemmo solo in finale col Pescara. Nel frattempo ci fu il celebre “caso Catania” e quindi si liberò un posto in cadetteria. Quel posto spettava a noi, lo meritavamo ma, purtroppo, la Lega decise di lasciarlo all’allora Florentia Viola che l’anno prima era in c2. La delusione fu fortissima e, dopo quel torto ricevuto, tutto l’ambiente cominciò a perdere di mordente, arrivando ad una triste discesa. 

– Dopodiché inizia il tuo amore-odio con le categorie ‘inferiori’.

Sì, cominciai a pensare solo ai guadagni e così, da quando avrei potuto giocare la B col Martina, scesi di categoria con la Pro Vasto. Poi Sora, Modica, una bella esperienza a casa mia, col Pomigliano, dove tuttavia i problemi dirigenziali non mi consentirono di proseguire la mia carriera ed allora Altamura, Ebolitana, Ippogrifo, Alba Sannio in Eccellenza, Agropoli e, dulcis in fundo, San Gregorio Magno, ancora in Eccellenza. A certe categorie trovare stimoli risulta difficile e così decisi di lasciar perdere il calcio giocato.

– Naturale excursus per un ex giocatore è, quasi sempre, passare alla panchina. Magari da un settore giovanile…

E fu così anche per me. Dopo aver abbandonato il rettangolo verde, cominciai ad allenare alla Scuola Calcio Arenaccia di Ciro Polito. Fu una bella esperienza, ma anche quella ebbe un capolinea.

– Ed ora?

Ora sono fresco di Patentito B UEFA, sto studiando e sogno di allenare. L’aspirazione massima sarebbe una prima squadra, ma troverei molti stimoli anche nel farmi le ossa in un settore giovanile di livello. E poi c’è il Real Santa Maria delle Grazie…

– Cos’è il Real Santa Maria delle Grazie?

E’ la squadra della nostra chiesa. Insieme a Rosa Lanza, una donna straordinaria e votata all’altruismo, ed altre persone che, come me, hanno voglia di fare del bene a chi ne ha più bisogno, abbiamo deciso di regalare ore di gioco e gioia a ragazzi ‘difficili’ con qualche problema alle spalle. Il calcio può essere maestro in questo senso, può allontanarti da cose ‘cattive’. Una delle cose più belle è vedere la passione che i miei ragazzi mettono in quello che fanno. Stiamo affrontando un torneo di calcio a 5 e sembra di giocare i mondiali. Ad uno dei ragazzi più dotati un giorno dissi di investire in questo suo talento. La sua risposta? Non avrebbe mai voluto giocare in una società che non fosse il ‘suo’ Real Santa Maria delle Grazie. Beh, questo è il lato più bello e romantico del calcio.

gennaro esposito catania

 

– Quindi chi è oggi Raffaele Esposito?

Oggi sono in primis un padre ed un marito, poi resto sempre un grande amante del calcio e, anche e soprattutto con azioni quali quella del Santa Maria delle Grazie, provo a trarre quanto più di buono da questa mia passione. Lavoro in una camiceria di famiglia e sogno di continuare a dare e ricevere qualcosa al mondo del pallone. Tutto, però, verrà con calma: per ora mi concentro su mia moglie Valentina ed i miei due bambini Salvatore e Diletta. Il primo, che ha due anni, già rincorre il pallone tutto il giorno…

– Cosa gli consiglieresti se, un giorno, passasse il cosiddetto ‘treno’? 

A lui, come ad ogni ragazzo con passione che desidera provare a fare il calciatore, consiglierei di stare sereno ma prendere tutto con serietà. A volte dei miei limiti di maturità mi hanno fatto raccogliere meno di quanto avrei potuto ed ad un ragazzo che potrebbe cadere nello stesso errore dico di pensarci bene: stupidaggini altamente evitabili possono compromettere una carriera. Se invece sei serio, ti alleni, stai al tuo posto e aspetti il momento giusto, sfruttandolo quando opportuno, allora le cose si mettono in discesa. 

 

A cura di Mirko Panico

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