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Le emozioni di Bayern Monaco-Napoli vista a Berlino

Quando una settimana fa prospettavo la visione della partita Bayern Monaco-Napoli qui a Berlino, non immaginavo cosa mi sarebbe potuto accadere. Sapevo che la portata internazionale della sfida rendeva l’evento notevolmente gettonato anche nella capitale tedesca e ciò mi garantiva una ricca scelta di luoghi dove poter vedere la partita. Non mi restava altro che scegliere la location più adatta per documentare degnamente una serata che si annunciava ricchissima di emozioni.

Forse, da brava cronista avrei dovuto gettarmi nella “fossa dei leoni”: infiltrarmi in una birreria bavarese e documentare da “esterna” la fenomenologia del tifoso monacense medio. Avrei dovuto, forse, ma non è andata così. Cari lettori, evidentemente  la vostra cronista è diventata troppo sentimentale e si è lasciata condizionare per un attimo da quel contagioso sentimento che qui in Germania chiamano “Heimweh”, mal di casa.

Heimweh o meno, sta di fatto che, dovendo decidere dove vedere questa “partita delle partite” la mia scelta è caduta (non proprio a caso) su “Masaniello” una pizzeria nel quartiere di Kreuzberg, rinomata in tutta Berlino per la sua pizza, buona quasi quanto quella di Napoli. Più che per la pizza, però, speravo di assistere allo spettacolo, chiassoso ma straordinariamente familiare, del tifoso napoletano all’opera e magari tratteggiare somiglianze e differenze con la controparte tedesca. Ebbene, le mie speranze sono state esaudite.

All’entrata del locale l’effetto è a dir poco straniante: sono circondata da voci che mi parlano in toni familiari, sento l’inflessione del dialetto, le cadenze di Napoli che non sentivo da più di un mese. Ben presto scopro che “Masaniello” è un rifugio per meridionali trapiantati a Berlino, una delle poche pizzerie in città a trasmettere tutte le partite del Napoli, rigorosamente in italiano. Parliamo con il metre di sala, che ci accoglie con fare spiccio, oscillando sempre tra il serio e il faceto.  Ci spiega che la pizzeria esiste a Berlino da ben trent’anni ma mantiene un legame fortissimo con l’Italia e il calcio. Non è difficile notarlo: le pareti sono tappezzate di striscioni, sciarpe e gagliardetti del Napoli mentre un angolo è interamente dedicato alla vittoria dell’Italia ai mondiali in Germania del 2006, vissuta dagli italiani in terra “germanica” con un orgoglio smisurato. Quando chiediamo se pensa mai di tornare in Italia, però, sentenzia subito “Non se ne parla affatto”. Assenza di prospettive, sicurezza economica e lavorativa praticamente inesistente, caos e disordine sono le ragioni che motivano questa scelta, sofferta ma necessaria.

In un angolo della sala è seduto uno sparuto gruppo di tifosi del Bayern: tranquilli, composti, muniti di sciarpe con i colori della squadra monacense, da bravi tifosi. Gli altri tedeschi presenti si dividono tra simpatizzanti del Bayern e filo-napoletani. Da  questo punto di vista non c’è molta differenza con l’Italia: qui in Germania, il Bayern Monaco è un po’ come il Milan o la Juve nostrane: una squadra che catalizza le antipatie degli altri tifosi perché tanto ricca da potersi permettere stellari campagne acquisti e tanto potente da poter condizionare gli arbitri. Come ci spiegano i “nativi” il Bayern o si ama o si odia.

La maggioranza della sala, però, parla italiano o meglio una singolare varietà di vernacoli che vanno da Napoli a Bari, passando per Palermo e arrivando fino a Milano. Fratelli d’Italia per una partita: questi i miracoli del calcio in Champions League, fronte comune contro l’avversario straniero. E come mi aspettavo, lo spettacolo che comincia dal fischio di inizio dà ragione alla mia scelta. I novanta, adrenalici, minuti della partita incollano gli sguardi e trattengono il fiato degli italiani in sala, che sfoggiano tutti la stessa espressione: sguardo incollato allo schermo, bocca semiaperta e forchetta a mezz’aria perché anche mangiare distoglierebbe l’attenzione dall’azione in gioco. Al primo goal del Bayern sono stupita dalla reazione della curva italiana che sprofonda in un silenzio che sa molto di politically correct. Anche i tifosi bavaresi si contengono dall’esultare, ma scopro ben  presto che quel contenuto pugno in aria in segno di vittoria è tutto l’entusiasmo che riescono ad esprimere. Dal secondo tempo l’atmosfera si surriscalda: volano insulti, preghiere, si invoca una singolare alleanza miracolosa tra San Gennaro e Santa Rosalia, c’è chi, più realista, auspica in un permanente infortunio di Mario Gomez.

Al secondo goal del Napoli il delirio: si esulta sulle sedie, sui tavoli, nell’entusiasmo si abbraccia il vicino sconosciuto, ora fedele compagno di partita. Ma ciò rientra nelle meravigliose dinamiche del cameratismo calcistico. L’ultima straordinaria parata di De Sanctis che salva un Napoli comunque più che degno da una sconfitta bruciante viene salutata da urla di gioia ed esclamazioni di soddisfazione, ben lontane dalle tiepide esultazioni delle fila monacensi in sala. Dopo l’amarezza iniziale prevale la soddisfazione e l’orgoglio per la squadra partenopea che pur uscendo sconfitta, ha mostrato una tenacia ed un impegno lodevoli, fronteggiando a testa alta la prima in classifica nel girone e seconda squadra d’Europa.

Sarà forse un luogo comune, sarà che sono davvero diventata troppo sentimentale, sarà stata la complicità di pizza e sfogliatelle made in Naples ma avverto come non mai una differenza di “cuore” tra Italia e Germania. Berlino non è Napoli, scrissi la scorsa settimana e non lo rimangio. È un diverso modo di prendere la vita, suppongo: noi lo facciamo così di pancia e di cuore, intensamente, fino in fondo e senza pensarci troppo. Siamo quelli che urlano, che battono i piedi, quelli che si ritrovano sui tavoli ad esultare, quelli che si fanno sanguinare le mani per l’ansia. E quale sia il risultato, poco importa: ne sarà comunque valsa la pena.

Da Berlino: Luigia Tessitore

 

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