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L’esordio di Vargas è stato in chiaroscuro

Così non vale: e l’hombre del partido, in realtà l’ombra di Eduardo Vargas, non sa cos’altro inventarsi per rimettere a posto i cocci della sua serata e risistemarla come fosse un gala. Macché: mezza partita a cercarsi, rigirandosi tra i pensieri sparpagliati che si agitano manco fossero fantasmi. Peccato, ma la strada è lunga e questo è appena il primo passo finito nella buca dell’emozione, l’avversaria subdola che ghermisce i muscoli e li spappola e poi va su, fino al cervello, confondendo. Napoli è un pieno d’euforia, un inno alla felicità, però dall’alto, da quel vulcano che erutta simpatia e ammirazione, curiosità e calore, si ha percezione delle difficoltà scatenate dall’attesa, i tanti flash dei fotografi, le telecamere che ronzano intorno tutte per lui e i cinquantamila occhi puntati addosso: a quel punto, la tremarella ha già avviato il suo corso, si è preso il pallone e l’ha trascinato via da Vargas. 

PECCATO!- Minuto 21 d’una serata da elettrochoc, con la testa compressa in una tenaglia, fino a quando non comincia a ciondolare tra le mani. Sì, è successo, nella maniera più imprevedibile, perché il diavoletto che governa le vicende terrene del calcio è in agguato proprio su quella zolla apparentemente innocua. Edu non lo sa, ovviamente, e prova ad appoggiare sul centrale difensivo, magari come si farebbe in Cile, e scopre che pure nelle feste c’è un nemico occulto che danza nel mucchio e stavolta è Popescu che approfitta del liscio: due passi, una mazzata centrale e sa già di umanissima disperazione, perché è 0-1. Ma no, ragazzo, il tempo è un galantuomo, lenisce le ferite e a ventidue anni sai quante chanches ancora. Il capitano Paolo Cannavaro lo dice chiaro: « Dategli tempo, ha le qualità, non si poteva pensare che facesse chissà cosa, deve inserirsi, capire… Vedrete ».

IL COLPO- Poi, magari, c’è anche il peso di quegli undici milioni, l’investimento massiccio di De Laurentiis, e il peso d’una responsabilità che improvvisamente è divenuta pesante come un macigno. E, però, onestamente, è semplicemente una partita, la prima, certo, e se è vero che gli esami non finiscono mai, Napoli-Cesena rappresenta semplicemente una lezioncina, un corso accelerato.

CORAGGIO- Il pallore s’intravede dagli spalti e a Mazzarri, che sta in panchina, risalta evidente: un applauso d’incoraggiamento, due paroline spedite attraverso Inler, poi il lato b della partita, con Cavani che scivola a destra e Vargas che va a fare il perno centrale del progetto offensivo. Ma è un incubo, perché minuto 40, sul traversone di Dossena, il classico scarico sul rimorchio, el matador cerca il destro e trova Vargas. Gli dèi devono essersi schierati contro, ma accadde pure a Lavezzi, nella sua prima al San Paolo, contro il Cesena, un 4-0 infarcito di smorfiette per un uomo divenuto poi un idolo inattaccabile.

LA RIVOLUZIONE- La settimana più vibrante d’una esistenza attraversata sino all’altro giorno sotto gli occhi di mamma e papà lascia il segno e quell’abbraccio collettivo che stordisce e timbra ufficialmente la rivioluzione delle proprie abitudini intimidisce sino a stordire: c’è uno stadio che lo viviseziona, schemi nuovi e abitudini tattiche mai sfiorate, c’è una realtà in cui calarsi, però con nella carne scariche di adrenalina che inibiscono il talento. Tanto calore, subito tutti pronti ad aiutarlo, il piccolo Edu ha confessato che è « dovuto uscire nascosto in un taxi per evitare i tifosi che mi aspettavano». Gli hanno suggerito di « giocare semplice » e pure la banalità di un passaggio laterale, un appoggio a cinque metri, sembra schizzare via come se fosse su un palo insaponato del quale Vargas fatica liberarsi.

PSICOLOGIA- Volere stanotte non è potere, perché se Vargas potesse si toglierebbe quelle catene che lo cingono e lo incastrano. Ma la chiave del lucchetto s’è persa nelle tenebre, nella pressione,nello stress da prestazione che diviene martellante. Mazzarri osserva, riflette, poi agisce nello spogliatoio (entrerà Pandev e sarà decisivo), dove Vargas può solo confessare di non sentirsi se stesso. La vita non è adesso, dài: e poi, sarà inevitabile far meglio.  

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

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