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L’Italia all’assalto della Spagna: «Senza paura»

Confermata la formazione Prandelli: «A viso aperto possiamo fare la storia»

Le «furie rosse» di Del Bosque contro le «furie azzurre» di Prandelli, stasera a Kiev, per il trono d’Europa. Da una parte i campionissimi del mondo, dall’altra la rivelazione di questo torneo che ha già fatto fuori l’Inghilterra e la Germania. Ieri entrambi i tecnici hanno parlato. Del Bosque, salvo ripensamenti, ha intenzione di tenere in panchina Fernando Torres e buttarlo nella mischia nel secondo tempo, il ruolo di centrale della linea d’attacco dovrebbe essere affidato a Fabregas, con Silva e Iniesta ai lati. Il grande duello sarà Pirlo-Xavi. In porta due campioni del mondo: Casillas (2010) e Buffon (2006). Prandelli: «Loro i campioni, noi da applausi». In attacco l’Italia replica con Cassano-Balotelli (nella foto). In tribuna i premier Monti e Rajoy. Comunque vada, Napolitano ha già invitato gli azzurri domani al Quirinale.
C’è modo e modo di arrivare in finale. Rispettando il pronostico: è il caso della Spagna. Rovesciandolo, come l’Italia. Che si esalta quando ha il vento contro. Calciopoli o Scommessopoli per dar forza al ribaltone: nazionale da indifendibile a invincibile. Succede dalla prima pietra dello scandalo, sempre scommesse e all’epoca clandestine: dagli arresti sconvolgenti negli stadi dell’80 al titolo mondiale inaspettato al Bernabeu nell’82.
È la storia che conosciamo bene e che si ripete da trentadue anni, anche se la finale si giocherà stasera e ancora non sappiamo come andrà a finire. Quanto è successo, però, si sa già. Almeno fin qui, all’Olympiyskiy stadion. Dove la Spagna mai avrebbe pensato di arrivarci insieme con l’Italia. Alleate improvvisamente del calcio propositivo, proprio come lo sono stati i due premier Mariano Rajoy e Mario Monti, nel Consiglio europeo a Bruxelles, per prendere a spallate Angela Merkel, costretta alla resa e quindi all’intesa. Disfatta simile a quella, sul campo, della Germania. Con l’altro Super Mario a piazzare l’uno-due terrificante e decisivo.
L’Italia ha voglia di fare la Spagna. Perché non c’è solo il tiqui taca barcelonista che ormai funziona pure in nazionale. Lo dimostrano i due successi di fila, nell’Europeo 2008 in Svizzera e Austria e nel mondiale 2010 in Sudafrica. Sta prendendo piede la melina de’ noantri, il possesso palla degli azzurri per attaccare contro chiunque. Con la stessa qualità delle furie rosse. Sono proprio i rivali ad ammettere che siamo cambiati. Imitandoli nel percorso verso il successo. Sempre attraverso il gioco.
Vicente e non solo di nome è Del Bosque. Punta a fare il doppio colpo, Europeo e mondiale, riuscito solo al tedesco Helmut Schoen (nel 72 e nel 74). Ma davanti trova Cesare Prandelli, scelto per ricostruire l’Italia dopo il crollo storico di Johannesburg. Più che al movimento in crisi ha pensato alla gente annoiata, affidandosi agli esclusi di Lippi, i due calciatori più complicati caratterialmente e al tempo stesso più dotati, chiamati a furor di popolo. Ha puntato sul divertimento. Coinvolgendo giocatori e tifosi. Utilizzando quattro centrocampisti di qualità, dietro le punte, per avere sempre tra i piedi il pallone. Per copiare la Spagna di sempre e non solo quella barcelonista dei due titoli di fila. Coraggio e cuore, passione e sacrificio.
Il nostro cittì, a differenza del collega Del Bosque arrivato qui con una striscia di quattro vittorie e un pari, si è presentato con tre sconfitte di fila, anche se in amichevoli, lui che oggi non ha ancora perso una gara ufficiale da quando è sulla panchina azzurra. Oltre a qualche certezza tecnica venuta meno, anche gli scandali e i veleni a pesare sull’avventura in Polonia e Ucraina. L’avviso di garanzia consegnato a Criscito a Coverciano, quello di Bonucci lasciato in sospeso di Bonucci, l’indagine della Guardia di finanza per Buffon e la provocazione di Monti di sospendere per due-tre anni il campionato per il deflagrare di Scommessopoli. Troppo. Al punto di cercare lo scontro istituzionale: «Se volete noi non partiamo».
Prandelli, invece, è in finale. E il presidente Monti sarà in tribuna a Kiev. Non il presidente della Repubblica Napolitano che è sceso negli spogliatoi, a Danzica lo scorso 10 giugno, a festeggiare il pari proprio la Spagna campione del mondo e d’Europa. E che ieri ha inviato una lettera affettuosa a Prandelli: «Apprezzo la sobrietà e la serietà dei suoi commenti, le trasmetto il mio incitamento, a tutti i ragazzi, per la prova conclusiva. Sono stato felice di essere a Danzica quando si trattava di dimostrare che gli azzurri ancora una volta si sarebbero fatti onore in nome dell’Italia». Il primo tifoso è il capo dello Stato che riceverà gli azzurri domani sera al Quirinale. Con il suo affetto e la sua solidarietà, ne ha spinti seimila qui: in Ucraina, l’entusiasmo visto nelle notti, di nuovo magiche, delle piazze italiane. Lievita, insomma, il popolo azzurro in trasferta, inizialmente al massimo in millecinquecento. Di spagnoli ce ne saranno dodicimila. Per i campioni in carica che, con il loro calcio privo di calcoli e ricco di idee, ci hanno aspettato. Non hanno fatto il biscotto, temuto nel nostro Paese, con la Croazia, dando alla nostra nazionale la possibilità di diventare grande durante il torneo. Del Bosque dice che mai si pentirà di non aver fatto fuori gli azzurri. Per lo sport. Per il messaggio da inviare ai bambini. Quelli che Prandelli sta avvicinando a questa nazionale. Il primo di loro si chiama Mario come Monti. Quando lo chiamò a sé per la prima volta, nell’agosto del 2010, non aveva nemmeno vent’anni. Li avrebbe compiuti dopo qualche giorno. Balotelli e l’Italia sono cresciuti insieme. Oggi possono scoprire di essere già diventati grandi.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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