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Mazzarri ha deciso, niente più rivoluzioni tattiche

Il modulo cambierà solo in caso di emergenza

Ricapitolando: a Roma, in uno slancio disperato, fu 3-3-4, il calcio più estremo della sua era partenopea, probabilmente del suo sviluppo professionale, con Insigne e Cavani, Calaiò e Pandev, ma anche Hamsik ed El Kaddouri. Però si era a partita (compromessa) in corso e sul ciglio d’uno strapiombo psicologico, ci si inventa la rivoluzione. Proseguendo: con il Viktoria Plzen, al san Paolo, quando è ancora 0-1, è 4-3-3, una novità pure quella, una scelta più ragionevole e comunque sempre distante da Mazzarri, ormai però lanciato in questa fase di rinnovamento, ribadito con la Sampdoria (nell’ultima mezz’ora) e talmente spinto ad elaborare soluzioni alternative – e in quel contesto «salvifiche» – da lasciarsi persuadere da se stesso.

MAI PIU’ – Il calcio è materia scivolosa, strettamente legata (nei giudizi) ai risultati e però criticamente abbracciata allo spettacolo prodotto, alle capacità di emozionare attraverso lo spessore del gioco e della manovra, l’armonia tra (e dei) settori: al Napoli di Mazzarri è capitato quest’anno di esibirsi in maniera assai gradevole, autorevole e accattivante (a san Siro, con l’Inter, ad esempio) e però ritrovarsi sconfitto. Ma in quell’ultima mano di mano di poker – la Lazio, il Viktoria a Fuorigrotta, la Samp e a Plzen – la manifesta volontà di rivedere alcuni concetti e magari di correggersi ha finito per lasciare perplessi persino Mazzarri, pronto all’inversione di marcia, che poi in realtà sarebbe una riconversione per recuperar se stesso. «E’ quello il sistema di gioco che maggiormente s’addice alle nostre caratteristiche e dunque, in futuro, se non in casi particolari, faremo ciò che ci riesce meglio».
EQUILIBRIO – La flessione d’un febbraio grigio (una sola vittoria, con il Catania, due pareggi con Lazio e Sampdoria e due sconfitte che hanno lasciato il segno sulla pelle) sono figlie di varia natura ma verso Udine si muove un Napoli che sceglie – scientemente, al di là delle pressioni d’una partita, dunque in maniera ragionevole – di riavvicinarsi alle teorie del proprio allenatore: una scossa di fiducia per garantirsi maggiori certezze nei movimenti, a prescindere dagli interpreti della partita. Dunque: 3-4-1-2, per dare i numeri, o magari 3-4-2-1, un derivato, comunque un copione assimilato nel tempo, memorizzato e, nella filosofia collettiva, assai più digeribile.
REVIVAL – D’altro canto, voltandosi e andando a dare un’occhiatina ai tre anni e mezzo di Napoli di Mazzarri, ribaltoni strutturali così marcati, si direbbe imponenti, non se ne registrano in quantità rilevante e comunque, pure in presenza di difficoltà oggettive (0-2 in casa con il Milan, agli albori di questa epoca) gli interventi erano stati concreti ma senza incidere nettamente sulla dimensione tattica. Per dimenticare le due settimane che sono ormai alle spalle e per tuffarsi a corpo vivo sull’Udinese e sulla Juventus e dunque in quel futuro il Napoli si potrebbe persino ritrovare ad intravedere – ancor più concretamente – un orizzonte dipinto di verde, bianco e rosso, Mazzarri preferisce rifugiarsi in Mazzarri, in quella capacità di difendere e colpire assecondando teorie consolidate negli anni e coperture del campo e degli spazi – e creazione pure delle condizioni – affidandosi alla didattica che ha contribuito a scalare il calcio dal basso e a trascinarsi in maniera imperiosa in alto. L’effetto di Plzen, non la sconfitta ma le modalità, e l’espressione pallida manifestata dall’Olimpico di Roma sino al «Doosan Arena» hanno sprigionato (però semplicemente in virtù dei risultati e delle prestazioni) un clima un po’ gelido intorno al Napoli e a Mazzarri: e l’alternativa per scaldarsi ancora, per riprendere colore e brillantezza, è il 3-4-1-2 (o 3-4-2-1), una rassicurante coperta di Linus.
Fonte: Corriere dello Sport
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