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Napoli in silenzio: “Ragazzi, grazie lo stesso”

Una città in trepidante attesa e delusa dopo i supplementari

Stavolta non si fa festa, tutti delusi, tanta amarezza. Poca voglia di parlare, solo un «Grazie lo stesso» perché comunque il Napoli in Champions ha fatto grandi cose ed esce a testa alta. Eppure la giornata era cominciata con grandi speranze. «Bum-bum, bum-bum, bum-bum», il cuore azzurro di Paolino batte forte, sempre più forte. Scende nello stomaco e poi sale in gola in un millesimo di secondo. L’ansia lo pervade, il battito accelera ancora quando smoccola e gli scappa una parolaccia urlata dal profondo dell’anima. « Proprio a me doveva capitare. Proprio stasera, ma va… » . Nove contenitori uno sull’altro, quattro margherite, una capricciosa, due marinare e due prosciutto e funghi, mai come stanotte il peso di quei cartoni è enorme, tale quasi da piegargli le braccia. Non avrebbe voluto ma gli è toccato. Dalla pizzeria in zona Santa Lucia al Pallonetto, quei 300 metri sembrano 30 chilometri perché la partita del secolo è cominciata da dieci minuti e lui deve fare in fretta. Adesso corre e sbuffa col cuore impazzito: « E non è finita qui. Mi tocca pure fare quattro piani di scale, mentre gli altri stanno comodamente sprofondati su poltrone e divani. Quasi quasi restavo in pizzeria fino alla fine del primo tempo». 

SILENZIO – Da metropoli bimilionaria (in fatto di abitanti) a paese dove il silenzio regna sovrano. Di quelli costruiti in studio per gli “spaghetti (pizza)-western” con le classiche balle di fieno miste a rami secchi. In lontananza solo l’abbaiare dei cani, pure loro zittiti da quelli che davanti alla tivù non accettano di perdere nemmeno un attimo di concentrazione. Nessun altro rumore. Macchine sui marciapiedi, in seconda e terza fila, disposte senza un criterio, e motorini ovunque. Un tappeto di motorini, in ogni viale o vicolo. Più del 26 dicembre, più di Pasquetta: il giorno da vero “day-after” è arrivato come mai s’era visto prima. Bisogna riavvolgere, e di molto, la memoria per farne riaffiorare uno simile. Alessandra il suo cane lo porta al guinzaglio, in zona Policlinico: « Un po’ di paura ce l’ho. Sembra una città abbandonata all’improvviso e non mi pare il caso di girare a lungo in queste strade solitarie . Mi hanno detto di portarlo un po’ giù perché questo silenzio irreale l’ha solo irritato. Preferisco così, questa partita mi mette troppa ansia ».

IL GIOCO DEGLI OPPOSTI – Prima che si fermasse il tempo per il fischio di Brych, la scena era completamente diversa. Un vero e proprio opposto, facile immaginarlo. Da Secondigliano a Quarto, dai Decumani a Marano, da Mergellina a San Martino, la città s’era nuovamente ammantata d’azzurro in ogni dove. Un azzurro mai stato così intenso. Bancarelle “a castello” nelle zone nevralgiche della città, con tutto l’armamentario possibile ed anche inimmaginabile: dai cornetti, alle sciarpe, agli striscioni, e poi le magliette, i manifesti a lutto ed ogni genere di amuleti. Saverio, ambulante per una notte a via Marina ci erudisce a riguardo: « L’articolo più richiesto? Eh, di sicuro la sciarpa “Chelsea shit . . ., lo potete scrivere? Una cosetta all’inglese. Ma si vendono benissimo pure le sciarpe: “The Champiooooooons” scritto come l’urlo allo stadio, e le magliette dei tre tenori che non passano mai ».  Fino alle 20.30 macchine come formiche impazzite per ingorghi, stavolta con poche bestemmie, perché affrontati a cuor leggero. In una trepidante ed ottimistica attesa. Poi, di colpo, il silenzio assoluto. Milioni di persone vittime di un incantesimo lungo 150 minuti, intervallo e supplementari compresi.
VOLEVAMO… – Volevamo raccontare i festeggiamenti, i caroselli, i bagni nelle fontane, gli spogliarelli e i gavettoni di gioia. Ma non è stato possibile. Il sogno s’è spento, dopo la dura battaglia cala il sipario sullo Stamford Bridge. Qualche sporadico botto di chi ringrazia comunque, qualche bandiere sventola sui terrazzini. Paolino butta i contenitori nel cassonetto e se ne torna su con una smorfia. La città resta muta.
Fonte: Corriere dello Sport
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