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Napoli, la libertà di scegliere ed il diritto di criticare. Ma come?

Le critiche a Mazzarri ed il principio delle sue scelte: alla ricerca di una critica coerente

Il calcio, a volte, sa sorprendere e sovvertire tutte le previsioni. Può accadere che una squadra in salute e sulle ali dell’entusiasmo incappi in una serata no, che il livello di tensione agonistica cali al cospetto di un palcoscenico molto meno attraente dell’ Etihad stadium, di una squadra che suscita ricordi meno gloriosi dei rossoneri meneghini. Può accadere (e purtroppo accade troppo spesso) che il Napoli perda in un Bentegodi semivuoto al cospetto del Chievo Verona. Può accadere ed è accaduto.Ciò che molto meno di frequente accade è che dopo una sconfitta si legga, sui giornali o nel web, una critica onesta, non oggettiva (nessuna può esserlo davvero) ma almeno coerente.  Potrebbe accadere ma accade molto di rado. Molto più semplice e populista salire sul carrozzone dei sedicenti “esperti del settore” che si affannano in pericolose disamine  tecniche che spesso, magari per demeriti miei, fatico a capire. Sia chiaro che è fatto salvo il diritto di chiunque di criticare quanto e quando si crede doveroso farlo, ma assistere passivamente al sistematico gioco di chi incensa squadra e tifosi dopo una vittoria e, repentino e ondivago, sale sul pulpito a pontificare dopo una sconfitta è un esercizio del quale faccio volentieri a meno. 
Critica inflazionatissima al momento è quella indirizzata a Mazzarri per l’ampio avvicendamento nell’undici titolare nella sfida ai clivensi. Sostituire sette undicesimi della formazione titolare per un’insidiosa trasferta è stato di sicuro un rischio, un rischio – però -che l’allenatore ha ponderato e scelto, rischiando l’evitabilissimo fuoco di fila di certa critica. Scendendo nel merito, io avrei limitato i cambi a cinque schierando Cannavaro e Hamsik, lasciando Santana in panchina e rimandando ancora di un po’ l’esordio di Fideleff (buona la sua prova, fatto salvo il grave errore in occasione del goal di Moscardelli) ma difendo il principio delle scelte del tecnico di San Vincenzo. 
Rispettabilissimi commentatori sportivi si sono rincorsi nel dichiarare che uno dei punti di forza in più del Napoli di quest’anno è proprio la qualità dei rincalzi, pena poi rimangiarsi tutto in forza, a parer loro, di una prestazione più che opaca (dato incontestabile). Qualcuno obietterebbe, poi, che la critica non è al turn-over ma all’uso abnome che ne è stato fatto. Ribatto facendo notare che in forza di diverse osservazioni l’appunto non tiene.  Il rischio di non reggere l’urto dell’enorme dispendio fisiche e mentali della Champions è reale ed elevato, il calendario in questo periodo prevede impegni ogni tre giorni fino ad ottobre, compresa la fondamentale sfida di martedì contro il Villareal, preservare le energie di uomini chiave come Inler, Cavani, Lavezzi, Maggio o Hamsik è una necessità non un tema di discussione. Ancora più significativa mi pare la considerazione sulla gestione del gruppo da parte dello stesso Mazzarri. Tutti d’accordo nell’applaudire il recupero e la crescita di giocatori come Gargano e Zuniga, o l’applicazione di quanti vengono chiamati in causa anche solo per pochi minuti in un intero campionato. Credete davvero si possa guadagnare la disposizione e l’impegno di giocatori, spesso navigati, se non ritenuti abbastanza validi per affrontare il Chievo Verona? 
La verità, a parer mio, è che l’ambiente che circonda la squadra e la società ha bisogno di crescere molto più di quanto devono farlo l’allenatore e i calciatori, che pure sono fallibili e saranno meritevoli di critiche quando sbaglieranno. Ciò che, però, meritano loro e tutti i veri tifosi del Napoli è anche una critica realmente costruttiva, che miri a sottolineare, magari, le contraddizioni tattiche di chi allena o il deficit caratteriale di chi va in campo.  Imparare a vincere è difficile ma molto più complicato è imparare a perdere. Per la prima necessità possono bastare gli undici giocatori e l’allenatore, per la seconda c’è bisogno del contributo di tutti.

A cura di Pompilio Salerno

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