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Porto-Napoli, faccia a faccia dopo quaranta anni: c’è una storia che si intreccia col presente

Dopo quaranta anni si ritrovano faccia a faccia Napoli e Porto. La squadra di Benitez andrà a giocarsi gli ottavi di finale di Europa League, quella di Luis Vinicio del ’74 affrontò il secondo turno di coppa Uefa e si impose per 1-0. Il gol vittoria, a dieci minuti dalla fine, fu di Sergio Clerici. In quella squadra c’era Antonio Albano, all’epoca centrocampista ventiduenne, cresciuto nelle giovanili del club di Ferlaino e approdato a palcoscenici europei. Antonio oggi, per la verità dal 1992, è Tonino, magazziniere di lunga militanza e tifoso di testa e di cuore. Insieme con Tommaso Starace, l’altro magazziniere storico, gestisce lo spogliatoio di Castel Volturno con una maniacalità quasi ossessiva. Il suo cruccio, le scarpette. Tutte in fila, tirate a lucido. Quasi come se fossero trofei nella stanzetta dove sono sistemate. La porta è chiusa, inutile ogni tentativo di andare a vederle. I gioielli di Tonino, uomo ormai sessantanne ma con fisico atletico e abbronzatura estate-inverno da campo, sembrano oggetti sacri chiusi nel tempio del pallone. Fa la spola tra lo spogliatoio e i campi di allenamento, trascina palloni e il rapporto con i giocatori è quasi filiale.

Non importa se italiani o stranieri. Tonino ama Napoli e di conseguenza chi indossa la maglia del Napoli. Quaranta anni partecipò alla spedizione in Portogallo. La squadra era partita con il pronostico sfavorevole. Seconda in classifica ma con poche speranze di tornare a casa vincitrice. I giornali, all’epoca, davano quasi spacciata la squadra di Vinicio, avversari troppo forti in campo internazionale. Al San Paolo il Napoli aveva già vinto 1-0, ma il vantaggio era risicato per sperare. Piuttosto si temeva la goleada in un campo caldo e con ottantamila tifosi sugli spalti. Albano era in panchina, anche a quel tempo era più uomo spogliatoio che protagonista in campo. Era cresciuto nei giovanissimi, nato e cresciuto a Fuorigrotta, aveva sette anni quando giocava con gli amici davanti al San Paolo. Uno scugnizzo, al pari degli scugnizzi delle generazioni successive Fabio Cannavaro e Ciro Ferrara. Il Napoli lo adocchiò e iniziarono i primi allenamenti ai campi del cinodromo in viale Kennedy. La trafila: dagli allevi alla Primavera e poi finalmente il sogno della prima squadra. Col Napoli giocò soltanto due anni, poi il passaggio a Nocera prima e Pagani poi. Le scarpette al chiodo prima che l’età glielo imponesse, il ritorno ad una vita normale con l’esigenza di portare avanti la famiglia, la moglie Anna e i figli piccoli, Lino e Andrea. Il ricordo di Oporto sempre vivo nella mente, il sudore di quella sfida. La vittoria e la festa. L’accoglienza a Capodichino di tremila tifosi. La squadra per rientrare a Fuorigrotta impiegò tre ore. Albano non più calciatore trova lavoro in una farmacia e il destino gli pone davanti ancora il Napoli. Una farmacia frequentata da un medico, Lino Russo. Che, casualità, era il medico sociale del club. Siamo al 1992, il rientro in campo da magazziniere. Il sogno che si realizza ancora una volta. Fabio Cannavaro gli ha dedicato una pagina della sua biografia, fu Tonino infatti a suggerire a Marcello Lippi, tecnico arrivato dall’Atalanta e con l’ambizione di far tornare grande il Napoli, l’impiego in prima squadra di Cannavaro. Emergenza in difesa, serviva un centrale. Tonino, fidato e competente, osò un consiglio. E aprì la strada al successo di un ragazzo destinato a diventare campione del mondo e a conquistare il pallone d’oro. Tonino, silenzioso ma osservatore puntuale della giornate a Castel Volturno, ancora oggi non resiste. E sui campi si concede tiri in porta e punizioni. Domani un’altra sfida in Portogallo, i ricordi ma soprattutto le pacche sulle spalle ai suoi figliocci.

Fonte: Corriere del Mezzogiorno

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