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Un altro dramma nel calcio Morosini muore in campo

La scomparsa ravvicinata dei genitori, il suicidio del fratello, una sorella disabile. Ma il cuore di Piermario aveva tenuto duro e aveva continuato a battere, perché il suo sport lo aveva aiutato a dimenticare. Lo aveva aiutato a vivere.
A vivere e a giocare. Piuttosto bene. Come ieri quando il suo Livorno era in vantaggio 0-2 in trasferta anche con il suo ottimo contributo di qualità. Poi, al minuto 29, la scena che nessuno dei presenti riuscirà mai a dimenticare. Vicino alla linea laterale, quasi davanti alla panchina del Pescara, il giocatore barcolla e cade a terra. Sembra scivolare sul terreno bagnato. Prova a rialzarsi la prima volta ma cade di nuovo in ginocchio. Scosso da un tremito impressionante, si guarda intorno come se cercasse aiuto. Ci riprova ancora ma è tutto inutile: stramazza faccia a terra, in posizione innaturale e con gli occhi in bianco. L’arbitro è di spalle e non vede, cercano di richiamare la sua attenzione ma alla fine lo staff medico del Pescara irrompe in campo e si precipita sul giocatore. Immediato il massaggio cardiaco eseguito dal dottor Ernesto Sabatini e dal massaggiatore Claudio D’Arcangelo. Disteso a terra, il ragazzo serra le mascelle, riescono ad aprirgli i denti e infilare una cannula per cercare di far arrivare ossigeno. Nessuna risposta. Dagli spalti vola in campo anche il dottor Leonardo Paloscia, primario dell’Unità Intensiva Coronarica dell’ospedale di Pescara.
Morosini non accenna a riprendersi, davanti agli occhi dei giocatori disperati. Anche sugli spalti è chiara la sensazione della tragedia immanente. Si invoca l’arrivo dell’ambulanza che giunge in campo con un po’ di ritardo perché bloccata da un’auto dei vigili urbani parcheggiata in doppia fila. I Carabinieri intervengono e devono rompere i vetri per togliere il freno a mano e spostare la vettura. Dal momento in cui il ragazzo perde conoscenza all’ingresso in campo dell’ambulanza passano poco meno di quattro minuti. Si poteva far meglio ma, a sentire i medici che sono intervenuti, quel breve ritardo non è stato determinante. Nel frattempo, per accelerare al massimo i tempi del soccorso, due giocatori del Pescara (Verratti e Zanon) si dirigono di corsa verso l’ingresso di Maratona e tornano sul rettangolo verde trascinando una lettiga sulla quale il giocatore viene disteso. Caricato sull’ambulanza e trasportato in ospedale, i medici hanno tentato di rianimarlo in tutti i modi, applicandogli anche un pacemaker. «Ma in nessun momento – ha raccontato poi il dottor Paloscia – il giocatore ha dato l’impressione di riprendere conoscenza, non ha respirato autonomamente né il suo cuore è tornato a battere». Per un’ora e mezza i medici provano di tutto per riportarlo alla vita, ma Piermario non risponde a nessun genere di sollecitazioni. La sua corsa in questa vita si ferma alle 16,45.
Cosa ci sia all’origine di questa tragedia è difficile dirlo. Ci proverà nelle prossime ore l’autopsia ordinata dal pubblico ministero Valentina D’Agostino. «Era un ragazzo sano – dice Mario Porcellini, medico sociale del Livorno – e non aveva mai manifestato problemi di alcun genere». Il freddo linguaggio burocratico della morte parla di arresto cardiocircolatorio, ma non è detto che si sia trattato di un problema cardiaco. Tra le ipotesi c’è anche quella dell’aneurisma o dell’emorragia cerebrale che abbia, a sua volta, causato l’arresto cardiaco. Rivedendo le immagini del match, si nota che appena due minuti prima di accasciarsi, il giocatore è protagonista di un contrasto aereo con Cascione. Un impatto che sembra di scarsa rilevanza e che il centrocampista del Livorno assorbe senza apparenti problemi. Ma in questi casi nulla va sottovalutato. Così come si valuta l’ipotesi che possa avere influito un brutto colpo al costato ricevuto sette giorni fa nella gara casalinga con il Padova.
Agghiacciante la storia, e agghiacciante il silenzio che cala sull’Adriatico. Lo stesso silenzio cupo di Zdenek Zeman rimasto in campo, impietrito, anche quando ormai non c’era più nessuno. Quindici giorni fa, aveva perso nello stesso modo improvviso e atroce, il suo preparatore dei portieri Franco Mancini. Un dolore che si rinnova mentre da Udine arriva Anna, la fidanzata di Morosini insieme al procuratore Randazzo. Quella stessa ragazza che era diventata la sua vera famiglia. Pensava di aver trovato pace il Moro dopo una vita che gli aveva dato abbastanza ma gli aveva tolto troppo. Di sicuro, dopo aver visto da vicino tanta morte, aveva imparato ad apprezzare la vita. Anche per questo avrebbe meritato di viverla a lungo. Ha provato a rialzarsi due volte ma la vita, ancora una volta, gli ha voltato le spalle.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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