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Decreto crescita e “questione settentrionale”, le mani avanti di chi già si lamenta di presunti favori al Sud

Un presunto vantaggio per le meridionali nel Decreto Crescita fa gridare allo scandalo

C’è sui banchi del governo una legge che, per contrastare il fenomeno della “fuga di cervelli”, consente una tassazione agevolata per chi arriva in Italia dopo contratti di lavoro all’estero. Questo provvedimento, a cui mancano ancora i decreti attuativi, potrebbe però rivoluzionare il calciomercato italiano. Qualora il mondo del calcio non fosse escluso e qualora fosse attivo già per questo calciomercato, le società italiane avrebbero, per i trasferimenti in entrata dall’estero, diritto ad un considerevole sconto sula tassazione dei nuovi contratti firmati.

E’ naturale che i movimenti in entrata da altri campionati sarebbero così convenienti non solo dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto, in un calcio dove plusvalenze e numeri di bilancio sono diventati i nuovi trofei da esibire, fiscale. Ci potrebbe essere poi una seconda clausola per la quale le squadre del Sud avrebbero diritto ad ulteriori agevolazioni. Naturalmente quando è stata redatta la legge nessuno aveva in mente di favorire De Laurentiis, Giulini o Sticchi Damiani (presidenti di Napoli, Cagliari e Lecce).

Fatto sta che questa eventualità ha già fatto storcere il naso a qualcuno. Sandro Sabatini, tra i volti più noti di Mediaset, ha tuonato a Radio Sportiva che è “ingiusto offrire un vantaggio alle squadre del Sud. Il Napoli potrebbe approfittarne”

Dal punto di vista ideale tutto giusto, ma è dal punto di vista pratico che qualcosa non torna. Il tuonare contro un presunto futuro ed eventuale “favore” ai club del Sud in un calcio e in un paese come l’Italia fa quantomeno sorridere. Prendiamo la cartina della prossima Serie A. Ai nastri di partenza ci sono ben 17 compagini del Centro-Nord, una sarda e solo due meridionali (Napoli e Lecce). La Serie A, assieme alla Bundesliga (ma per ragioni diversi) è l’unico campionato europeo di medio-alto livello dove vige una distribuzione ineguale così marcata del potere calcistico.

Londra, Manchester, Liverpool, il Nord e il Sud dell’Inghilterra. Così come Madrid e Barcellona, le due “anime” della Spagna. E anche nella Francia Parigi-centrica ci sono stati momenti di gloria recenti per Monaco, Lilla, Montpellier. In Italia invece la geografia calcistica recita uno strapotere delle compagini del Nord, rotto, negli ultimi 40 anni solo dal “miracolo” del Napoli maradoniano e a suon di debiti da Roma e Lazio, vincitrici di Scudetti che per poco non hanno significato fallimento.

Quindi ripeto, fa sorridere come già si gridi ad un presunto favoritismo verso il Sud, in un calcio che ha visto scomparire dai radar intere regioni meridionali come la Sicilia o la Calabria. Nelle quali lo sviluppo ineguale del paese ha regalato impianti e strutture ad una metà e, nella migliore delle ipotesi, “cattedrali nel deserto” all’altra.

Per decenni, fino all’ingresso nell’era dei diritti tv, il calcio italiano si è retto su squadre aziendali e presidenti spendaccioni. E questo ha fatto la fortuna del Nord. La Juve della FIAT (ora FCA), il Lanerossi Vicenza, il Varese della IGNIS, il Parma di Tanzi, il Milan di Fininvest, l’Inter della Saras e più recentemente il Sassuolo di Squinzi sono tutte realtà che hanno beneficiato di un contesto ricco e industrializzato che ha fatto si che gli Scudetti a Napoli o Cagliari fossero eventi eccezionali, ma difficilmente forieri di, passatemi il termine cestistico mutuato dall’NBA, dinasty.

In un calcio così ineguale gridare alla “questione settentrionale” è del tutto fuori luogo. E mettere le “mani avanti” ancora peggio. I veri vantaggi, a livello di potere politico, di potere economico, infrastrutture, non riguardano certo un decreto che non si sa neanche quando e come verrà attuato e che potrebbe, forse, dare un vantaggio a 3 squadre su 17.

Forse, ripeto forse. Quando le altre 17 diversi vantaggi li hanno avuti e li hanno da sempre.

Giancarlo Di Stadio

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