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Quando “il Bari” è il vaso di Pandora… un mondo di critiche per De Laurentiis

Gli striscioni in città e il putiferio sui social, De Laurentiis acquista il Bari e manda in subbuglio Napoli

L’era Maradona rappresenta un raggio di sole in una storia che ha espresso tante sofferenze, dove tranne i “sette anni di Paradiso” è mancata soprattutto la continuità sotto l’aspetto gestionale, la capacità di garantire solidità sotto il profilo finanziario. Dal 1991 al 2004, la storia del Napoli ha espresso un calo vertiginoso culminato nell’estate trascorsa nei pressi del Tribunale per il fallimento. Il Napoli con De Laurentiis è da nove anni nelle coppe europee, è al vertice del calcio italiano, proviene da tre qualificazioni in Champions League consecutive, ha combattuto nell’ultimo campionato lo scudetto con la Juventus, un mostro di natura finanziaria, politica e mediatica, un mondo nettamente più ricco di una società come il Napoli che s’autofinanzia e i bianconeri, per portare a casa il tricolore, hanno avuto bisogno anche di arbitraggi molto discutibili. Per ventuno giorni a Dimaro abbiamo visto un popolo felice, legato in maniera viscerale alla maglia azzurra che trasforma il ritiro del Napoli in una festa collettiva, genuina e neanche le tensioni dell’occupazione mediatica di De Laurentiis ha messo in difficoltà. Napoli esprime un altro clima, scoramento, tensioni, contestazione permanente e soprattutto un approccio al futuro degli azzurri come se fosse in programma un ridimensionamento profondo, una debacle pericolosa. Nulla di tutto ciò: De Laurentiis nel corso della stessa estate ha preso Ancelotti, sta finalmente mettendo mano in modo serio al centro sportivo di Castel Volturno, la squadra è ancora incompleta ma con qualche rinforzo sarebbe ai livelli di competitività in cui teoricamente è sempre stata (il “sarrismo” l’ha elevata a livelli più alti del valore sostanziale dell’organico) e compra il Bari ripetendo una storia vista 14 anni fa. Una delle piazze più calde del Sud Italia (il paragone con Napoli non sussiste) rischia di sparire dal calcio che conta e De Laurentiis da imprenditore furbo, attento e dinamico fiuta un altro affare nel mondo del pallone, acquista il Bari con un investimento di circa 150 mila euro e progetta la risalita verso la serie A che gli consentirebbe di portare a casa importanti guadagni. Se ne occuperà Luigi, manager che ha formato una cultura imprenditoriale di livello, proverà a tornare in A nel periodo più breve possibile e poi si vedrà in virtù della legge sulla multiproprietà quale sarà il suo destino. Avere nello stesso campionato due squadre dello stesso proprietario è uno scenario inaccettabile, ricorda per ampi versi Parma-Verona del 2001 che costò la retrocessione al Napoli ma, negli equilibri di un calcio italiano alla canna del gas, nulla è impossibile. De Laurentiis non ridimensiona, anzi rilancia i suoi investimenti nel calcio italiano e lo fa con lungimiranza, nello stile della sua filosofia gestionale: prende Fabian Ruiz e non il top player di 31 anni, incide su Castel Volturno per aumentare la capacità attrattiva del Napoli e con un investimento minimo porta a casa la seconda squadra, il club satellite che da anni sperava di far nascere all’estero. Altro che uomo di cinema, De Laurentiis occupa gli spazi del calcio italiano: stringe rapporti con Agnelli all’Eca, critica Lotito ma risponde alla Salernitana con il Bari per arginare il peso del patron della Lazio e aggiunge nel “portfolio” di Giuntoli un’altra società da seguire con attenzione dopo Chievo Verona, Carpi, Gozzano e Savona, le realtà con cui il direttore sportivo azzurro ha costruito legami forti, il più evidente è quello con il club emiliano, come dimostrano le tante operazioni di mercato. La Juventus ha avuto la forza di costruire un sistema di potere così ingombrante da essere notato in maniera critica anche dall’Uefa, De Laurentiis sta seguendo un’altra via per produrre un altro blocco di potere, fondamentale negli equilibri di Figc e Lega, enti da lui criticati ma fondamentali anche per il suo business. De Laurentiis rilancia ma a Napoli sembri che molli gli ormeggi, perché? Dare la colpa solo ai presunti interessi del mondo ultras è riduttivo e snob, somiglia alle giustificazioni della sinistra sull’avanzata di Lega e Cinque Stelle. La comunicazione è tutto e De Laurentiis da uomo di cinema commette molti errori che lo rendono il “peggior nemico di se stesso”. L’immagine di uomo che sfida tutto e tutti, anima dichiarata del “calcio industriale”, che affronta i sentimenti dei tifosi, la risorsa che tiene in vita il “baraccone” di cui lui è protagonista, porta spesso la forma ad essere dominante sulla sostanza, cioè gli straordinari risultati raggiunti dal Napoli sotto il profilo sportivo e finanziario che troppo spesso vengono dimenticati. I continui attacchi a Sarri, il miglior allenatore della storia del club per risultati raggiunti e legame costruito con la piazza, il cui lavoro è esaltato da Ancelotti in ogni occasione, il riferimento costante a Cristiano Ronaldo, di cui ha parlato più della Juventus, la ricerca spasmodica del nemico nella stampa e nella tifoseria, non aiutano De Laurentiis, alimentano tra i tifosi le negatività. Parli di meno, presidente, faccia esprimere i protagonisti del campo, quelli che, come accaduto in altre estati infuocate, spegneranno le critiche per far posto alle emozioni, che a Napoli negli ultimi nove anni non sono mai mancate. Emozioni non fine a se stesse ma frutto di un percorso di crescita che ha un dato più significativo di tutti: in sette anni si è passati da un investimento di 30 milioni per il monte ingaggi ad uno di 120. Oggi è 1 Agosto 1926, il Napoli compie 92 anni, la passione dei tifosi vive di riti. Se saprà rispettarli, la rabbia, l’insoddisfazione cronica di cui è vittima la città di Napoli anche in altri ambiti si trasformerà in rispetto e riconoscenza per la crescita della sua creatura. Ci pensi bene, i “signor sì” al suo fianco non glielo diranno mai.

 

Ciro Troise

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