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SuperLega, Agnelli e Perez si stavano comprando il “soccer”? Ci riproveranno! Ma abbiamo l’occasione per tornare a riscoprire il fùtbol

E se la SuperLega fosse una grande occasione per ripensare il "nostro" calcio?

Domenica verso le 23:30 ora italiana, 17:30 nel fuso orario di New York (e l’orario scelto non è stato casuale), il calcio mondiale è cambiato per sempre. I ricchi hanno provato a fare il loro “colpo di stato”, hanno provato a prendere il pallone e portarselo via. Non ci sono riusciti, poco ci è mancato. Ciò che accaduto in ogni caso non lascerà il calcio uguale a prima. L’evento segna comunque uno spartiacque tra ciò che c’era prima e ciò che ci sarà dopo.

Purtroppo era solo questione di tempo. Sappiamo tutti, basta googlare un po’ le interviste passate dei vari Agnelli e Florentino Perez, che la secessione dei ricchi del pallone è un processo che va avanti da tempo. E soprattutto che si intreccia con dinamiche sociali che vanno ben oltre il calcio.

L’ingenuità (o la finta ingenuità) di Ceferin, che continua ad avere l’aria di uno che l’ha scampata per il rotto della cuffia, fa un po’ sorridere dopo che per 30 anni il calcio europeo è stato ad uso e consumo dei ricchi. E questi ricchi, dopo che gli è stato consegnato in mano il pallone, avevano deciso di andarsene.

Parliamoci chiaro, bulimici di soldi ed incapaci di pensare ad un modello che non sia esclusivamente predatorio e feudale, questi club avevano due opzioni: o aumentare costantemente gli introiti o portare i libri contabili in tribunale. Il Covid-19 ha solo dato un’accelerata ad un processo già in atto da tempo.

Certo, non è colpa della UEFA se il gotha del calcio europeo spende 150 milioni per Dembelè, paga commissioni monstre alla mamma di Rabiot o si fa dettare il mercato dagli interessi di Raiola. Così come non è colpa della UEFA se dodici tra i tizi più indebitati del continente, pur avendo a disposizione il monopolio dell’unica religione che unisce il mondo, non hanno trovato nessuna idea migliore, per evitare di fallire, che prendere suddetto pallone ed andarsene.

La colpa dell’UEFA è però averli assecondati, di averli viziati e di avergli permesso di fare il bello e cattivo tempo. Di aver foraggiato un sistema fallimentare che ha portato questi dodici tizi a provare a requisire, armi alla mano, le scialuppe mentre il Titanic del calcio continua ad andare dritto verso l’iceberg del suo fallimento economico.

Perché chiunque avesse un minimo di concezione di come va il mondo sapeva che ciò sarebbe stato inevitabile. Il calcio era forse rimasta l’unica isola “felice”, l’unico luogo, nell’occidente tardo-capitalista, dove il merito, almeno formalmente, contava ancora qualcosa. E se il merito conta qualcosa vuol dire che c’è una componente aleatoria nella competizione che prescinde dal denaro. La variabile impazzita, l’1% di incertezza che rischia di rendere sicuro l’investimento solo al 99%.

L’intera politica dei “ricchi” da 40 anni a questa parte è stata improntata sul trincerarsi a difesa delle proprie rendite di posizione. Sul precludere agli “altri”, alla variabile meritocratica dell’1%, qualsiasi ingresso nella loro “torre d’avorio”. Per paura di dover dividere la torta con qualcuno che non sia dei loro. Sul privatizzare il più possibile i ricavi, collettivizzando e facendo ricadere sui “poveri” le perdite e i costi sociali delle loro scellerate politiche.

Il calcio, era questione di tempo, quanto poteva resistere?

Da anni ormai il cinema, l’arte, la letteratura, la musica, almeno nelle loro versioni commerciali, sono diventate delle gigantesche campane di vetro nelle quali i ricchi creano e consumano prodotti su misura per loro e per i loro valori. E poi vendono questi prodotti, il surrogato di ciò che erano una volta, alla plebe.

Anche il calcio era inevitabile che avrebbe subito questa deriva, essendo ormai rimasto uno dei pochi luoghi in cui, almeno formalmente, esisteva un po’ di “meritocrazia”. Visto che per 90′, con un po’ di culo, anche gli scappati di casa potevano battere i campioni del mondo. Che anche Danimarca, Grecia, Leicester, Atalanta, Porto, Lione potevano avere i loro 90’ di gloria.

Ma proprio per questo la SuperLega non sarebbe stata necessariamente un male. Anzi, visto che certamente, quando il cambiamento demografico del tifo sarà completo e i rumorosi e facinorosi tifosi del Chelsea lasceranno il posto ai loro figlioletti tutto FUT di FIFA e musica trap, i ricchi ci riproveranno, usiamo il presente. Perché, mettiamoci l’anima in pace, prima o poi la SuperLega la faranno.

Quindi iniziamo a dirlo fin da ora: la SuperLega non è un male!

Come la letteratura non è solo la Mondadori, la Feltrinelli, la Holden e le marchette pagate per recensioni compiacenti sui giornali di proprietà della stessa casa editrice, come il cinema non è solo la Disney che crea e si autodistribuisce l’ennesimo remake o reboot, come la musica non sono solo gli uffici stampa di Achille Lauro ed Elettra Lamborghini che spacciano per scandalo il più becero conformismo, così il calcio non sarà solo la SuperLega.

Perchè il calcio, un altro calcio, esisterà sempre. Ed anzi, paradossalmente, ciò potrebbe essere l’occasione per tornare a praticarlo, a tifarlo e a guardarlo.

Quella che si sta ponendo davanti è ormai la spaccatura tra due sport diversi: da un lato il soccer, dall’altro il fùtbol. E non è necessariamente un male per noi amanti del fùtbol. Perché fino ad oggi eravamo palesemente ostaggio dei magnati del soccer.

Sapete che c’è? Che se la facessero la loro lega di soccer, stilassero i calendari in base al fuso orario di Singapore, creassero un giocattolino per arabi e cinesi, strutturassero una competizione su misura dei tifosi di Messi e Cr7, di coloro che consumano il soccer a tempo perso con gli highlights su YouTube, che se è in 2K e non in 4K manco vale la pena guardare la partita.

Anzi, liberi di avere il loro spettacolo circense, introducessero anche gli spacchettamenti del FUT da parte dei Ferragnez ad inizio campionato, così da intercettare il target delle fashion blogger e rendere più “fruibile”, da parte di ragazzetti con la soglia d’attenzione di una partita a Fortnite, il 27esimo match stagionale tra la franchigia della FCA e quella della Glazer Family.

E già che ci sono, mettessero il rigore da 3 punti o i 24 secondi per calciare in porta. E se nemmeno questo funziona, possono sempre regalare un gol in più alla squadra che, durante i 30’ di gioco (perché 90’ sono troppi per chi è abituato a scandire il tempo col le puntate di Netflix), ottiene più like su Instagram.

Bastava leggere il loro comunicato per capire che in 40 righe lo sport, la competizione, il trofeo, i tifosi nemmeno sono centrali. Una sequela di paroloni che hanno più a vedere col marketing che con lo sport. Ed anche la loro momentanea resa è piena di amaro in bocca per i mancati introiti. Perché, fondamentalmente, per loro il soccer questo è. Un gigantesco prodotto da vendere a quanta più gente possibile. Anche se a questa gente del calcio interessa poco o nulla.

A noi “plebe”, coloro che rischiano di mettere in dubbio, se indovinano la stagione buona, l’autreferenzialità della divisione del bottino da parte dei ricchi del soccer, ci lasciassero a “marcire” col fùtbol. Ci lasciassero con le nostre frittate di maccheroni e le maglie tarocche. Con le nostre trasferte in auto e i gradoni in Curva.

Avremo un campionato povero, con scarti pagati 1/10 di quando vengono pagati attualmente? Con maglie della Givova al posto di Nike e Adidas? Con presidenti rozzi, chiatti, che a stento parlano italiano e col sigaro in bocca invece degli svapatori poliglotti in giacca & cravatta e politicamente corretti?

MEGLIO!

Torneremo magari ad avere un calcio più umano, più a misura di tifosi. Dove il calciatore è un tizio bravo con i piedi che per 90′ ti fa dimenticare la tua vita di merda e non una pubblicità ambulante che ti ricorda costantemente quanto la tua vita sia di merda.

Avremo un Crotone-Benevento del livello di scapoli e ammogliati? Che importa! Sarà sempre Crotone-Benevento, sarà sempre 22 coglioni che corrono dietro ad un pallone con 30mila stronzi a vederli sperando che si vinca per perculare il collega di lavoro il giorno dopo. Sarà sempre calcio.

Giocheremo un campionato dal livello tecnico basso? E’ sempre calcio. Ci saranno nuovi presidente con meno soldi, si ridimensionerà il baraccone. I De Laurentiis, i Lotito, i Comisso, se non otterranno le briciole delle wild card, fuggiranno a gambe levate? Fa niente. Magari saremo noi tifosi che inizieremo a fare azionariato popolare. Chi sa. Di certo il mondo, anche quello dei poveri, non resterà senza calcio, senza fùtbol.

Agnelli stava per comprarsi l’esclusiva del soccer! Peccato, voleva dire che finalmente avrebbe tolto le sue mani dal fùtbol.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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