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rapina Parma

Il caso Parma, gli stadi, i settori giovanili: che sistema è questo!

La rigidità finanziaria del Napoli può essere una risorsa ma la priorità attuale è trattenere Rafa Benitez

Il calcio italiano è tutto da rifare, può sembrare una sentenza banale, una frase scontata ma, invece, non è così: chi porta avanti questo sistema marcio ripropone le stesse logiche e prassi, presentando costantemente il libro dei sogni e delle promesse per alimentare le speranze di un cambiamento che procede in maniera troppo lenta e frammentata.

Il mondo del pallone non è in crisi tecnica, la Juventus agli ottavi di Champions e le cinque squadre in Europa League che potrebbero ancora passare il turno dimostrano che non ci sono più i tempi in cui si dominava fuori dai confini nazionali ma il ridimensionamento non è ancora totale. Si soffre, si combatte ma non si soccombe nella sfida calcistica relativa al terreno di gioco mentre non c’è neanche competizione riguardo al profilo organizzativo. Quando si gira l’Europa, ci si rende conto che in tutti i Paesi c’è un sistema meglio strutturato di quello italiano. E’ un problema di concetto, di filosofia aziendale, di costruzione del prodotto. Il Paese di Lotito e di Tavecchio considera come unica risorsa da cui portare a casa quanti più soldi possibili le televisioni cercando anche di proporre un sistema con grandi sperequazioni tra le grandi e le piccole del campionato. Nessuno guarda alla salute del movimento ma tutti sperano di prendere la fetta di torta più grande. Da questo pensiero nascono le dichiarazioni da brividi di Lotito su Carpi e Frosinone. Il profilo generale è così limitato che non si guarda alla possibilità di incrementare i propri fatturati attraverso il merchandising, gli stadi, la valorizzazione dei settori giovanili ma solo mungendo ancora di più la mucca rappresentata dalle pay-tv. Si parla di svolta, di rivoluzione generale ma l’era Tavecchio ha riproposto i disastri precedenti: concentrazione di potere, assenza di un progetto per la sopravvivenza del calcio dalla serie B in giù mentre tutto procede alla stessa maniera riguardo agli stadi obsoleti e ai settori giovanili considerati di secondo piano nelle logiche di molti club professionistici, tra cui il Napoli che sicuramente non mette il vivaio al centro del proprio percorso di crescita. Non si può certamente credere che una riforma minimalista che impone in rosa quattro giocatori prodotti dal vivaio e quattro cresciuti nella Federazione Italiana possa essere la svolta. Bisognerebbe capire cosa si vuole fare sull’overdose di stranieri che invade tante formazioni Primavera e addirittura in alcuni casi Allievi e Giovanissimi Nazionali, ragionare sullo sviluppo del marketing internazionale, su nuove pratiche di promozione del brand in mercati non abbastanza esplorati, sul divario enorme tra l’Italia e il resto d’Europa sugli stadi e sul valore dei vivai. C’è, però, un principio basilare che non è ancora entrato nei meccanismi dei signori che governano il calcio: senza la base il vertice crolla.

Il movimento non è solo la serie A, che si regge sui diritti televisivi. La Lega Pro si mantiene sui contributi relativi ai giovani ceduti in prestito dai club di serie A, non c’è un piano strategico per alimentare a livello economico questa categoria, per non parlare poi del disastro che regna tra i Dilettanti, dove si è formato il presidente della Figc Carlo Tavecchio. Il caso Parma non nasce oggi ma se non fosse stato per il rinvio della partita contro l’Udinese e il rischio di rovinare il campionato, la luce non si sarebbe accesa sulla vicenda in modo serio. Perché nessuno ha suonato un campanello d’allarme alle prime difficoltà estive? Perché gli organi competenti non hanno posto la lente d’ingrandimento su un club che aveva 226 calciatori sotto contratto? Perché non sono stati verificati prima i collegamenti con il Nova Gorica e le altre realtà satellite? Oggi c’è il caso Parma ma in B e Lega Pro sono tante le società in difficoltà: perché nessuno si è mai interessato del Mantova, della Pro Patria, della Reggina, del Sorrento? La condizione di queste realtà non tocca il business prodotto a grandi livelli dal calcio ma serve un approccio complessivo sulla salute del movimento, altrimenti sarà difficile fermare il disastro socio-economico del mondo del pallone.

La rigidità finanziaria del Napoli rappresenta sicuramente un’eccezione positiva in quest’ambiente di conti in rosso e gestioni particolari, può essere un’arma per alimentare il percorso di crescita, non fermarsi agli ottimi livelli raggiunti. Il club di De Laurentiis agisce, però, in un sistema bloccato, che recepisce il cambiamento con una lentezza spaventosa e fa fatica a progredire, a sviluppare tutto il suo potenziale. Oltre le battaglie sportive in corso e gli splendidi risultati del 2015, c’è una priorità da affrontare per lo sviluppo della società: trattenere Rafa Benitez e dare continuità al progetto tecnico in corso. Il Napoli è in corsa su tre fronti, ha vinto la Supercoppa, può arrivare fino in fondo sia in Coppa Italia che in Europa League oltre che aggredire il secondo posto della Roma. Il piano tecnico di Rafa, in termini di gestione e di valorizzazione della rosa a disposizione, sta raggiungendo livelli altissimi, sarebbe un peccato ripartire con un nuovo allenatore e linee guida inevitabilmente diverse. Basta risolvere la situazione dei portieri, un difensore e un centrocampista di spessore per essere da scudetto e poter fare bella figura in Champions con Benitez in panchina e il sistema di gioco che ha sviluppato. La domanda da porsi, però, è il calcio italiano è all’altezza delle ambizioni e delle abitudini di lavoro di Rafa? Forse no, ci sarebbe poi da chiedersi perché De Laurentiis ha favorito l’elezione di personaggi conservatori come Lotito e Tavecchio pur essendosi sempre presentato come un “rivoluzionario del pallone”. “Gli ex calciatori come Albertini non mi sono mai piaciuti e poi Tavecchio fu l’unico ad ascoltarmi quando parlavo del calcio femminile e dei progetti che potevano essere sviluppati”, rivelava il patron del Napoli in estate. Intanto il sistema perde pezzi e chi lo guida non sembra essere all’altezza di produrre la svolta necessaria.

Ciro Troise

 

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