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Benvenuti in casa Immobile. La storia di Ciro, il ragazzo torrese che contende a Tevez e Higuain il titolo di cannoniere

Torre Annunziata. La signora Michela Immobile varcò la porta dell’alloggio che il figlio condivideva con altri della sua età, a Torino, si voltò verso il suo ragazzino e gli disse: «Ma che ci fai qui?! Torna a casa da noi». Ciro la guardò quasi sbalordito. Diciotto anni compiuti da pochi mesi e il sogno di diventare un calciatore a portata di mano. «Mammà, ma tu hai capito dove sono arrivato? Io sto alla Juve e diventerò un grande cannoniere». Era fiero, Ciro, di quella tracolla su cui c’era scritto Juventus. L’aveva conquistata a furia di gol segnati nel Sorrento, dai mini allievi ai giovanissimi e ancor prima tra i campetti dell’Oplonti e quello dei salesiani nella Basilica della Madonna della Neve. Significava che ci stava riuscendo, e che forse un giorno avrebbe fatto sul serio il calciatore. Non gli ha mai pesato quella borsa. Anche se dentro c’erano tante cose: la tuta e i sogni, le scarpe con i tacchetti e le promesse, la maglietta e i calzettoni, le aspettative e le ambizioni, i calzoncini e le illusioni di un ragazzo venuto dal Sud. Da Torre Annunziata, per l’esattezza. All’ombra di quel Vesuvio che qualcuno troppo spesso invoca a sproposito.

Cuore di mamma
In una mattinata col sole e un vento che soffia freddo neppure fosse novembre, la signora Michela sorride e non rimpiange quella frase. «Anche adesso lo vorrei più vicino a me, il mio ”seccatiello”». Cuore di mamma. È un gigante da 1,85 cm per 78 chili eppure per la mamma è ancora gracilino come era da piccolo. «Non mangiava mai, quasi se ne scordava. Forse adesso è un po’ più grosso. Una delle cose che gli dico su Whatsapp: ”hai mangiato?”. Quando viene qui, l’eccezione per la mia parmigiana di melanzana la fa sempre. Per farmi contenta».
Michela racconta Ciro, il ragazzino torrese che contende a Higuain e Tevez la corona dei marcatori della serie A. Ma nei suoi racconti c’è tutta la famiglia Immobile. Al suo fianco, nel bar di proprietà dell’ex stella locale, Tonino Barbera, covo di amici e fans del bomber del Torino, c’è Antonio, il padre di Ciro. Ex bomber pure lui. Di Eccellenza. Ma erano altri tempi: «Lavoravo all’Avis di Castellammare, aggiustavo i treni per le Ferrovie e non sono mai riuscito ad allenarmi come avrei voluto. Sapevo, però, che sarebbe stato bello arrivare in alto». Già, bello, ma duro. Uno su dodicimila ce la fa, dicono le statistiche. Uno di questi è Ciro. «Non è vero, lui deve mantenere i piedi per terra. È il capocannoniere? Va ai Mondiali? Gli ho detto: ”non cambia nulla, devi continuare a lavorare tutti i giorni”. Come quando era al Sorrento e al Torre Annunziata ’88». È proprio vero. Per capire perché uno diventa un campione, bisogna andare a fondo nella sue radici. Antonio ha 53 anni ma sembra il fratello leggermente più grande di Ciro: «Non sono capace di dargli consigli. Lo guardo e penso: è proprio bravo».
Il percorso di Immobile è fatto di nostalgia, sradicamento e anche di solitudine. E così che si cresce, lontano dalla gonna di mamma. «Ne ha fatti di provini: il primo al Milan, nel 2000. Aveva 10 anni: Pierino Prati mi disse che era bravo, che l’avrebbero preso se avesse avuto la residenza lì. Non se ne fece nulla», sospira ancora Antonio. Poi arrivarono l’Empoli e la Salernitana ma per gli Immobile la soluzione migliore era mandarlo al Sorrento.

A Sorrento
«L’Inter esitò: Beppe Baresi lo vide ma fu sincero perché loro puntavano su Destro e Balotelli». E allora andò in Costiera. «Il presidente Castellano gli fece l’abbonamento per la Circumvesuviana e ogni giorno, finiva la scuola, si faceva un panino e andava ad allenarsi lì. Non credo abbia mai saltato un allenamento», dice papà Ciro. «Gli allenamenti mai, ma la scuola sì», sbotta (adesso) divertita mamma Michela. «Scuole media alla Manzoni e poi alle superiori alla Marconi. Volevo prendesse il diploma di perito tecnico. Lo minacciavo: se non porti bei voti, niente pallone. Poi da Torino trovò il coraggio di mandarmi un sms: ”So di deluderti, ma proprio non riesco a studiare ed allenarmi. Lascio la scuola”. Ci rimasi malissimo». L’altro fratello, Luigi, si è invece laureato in Ingegneria. «110 e lode, nello studio è lui il mio capocannoniere». Il «ciuffo biondo che fa impazzire il mondo» come lo ribattezzarono i tifosi del Pescara (dove ha lasciato in dote 38 gol e una promozione) si è fermato qualche metro prima.
Michela e Antonio raccontano Ciro alternando le voci e senza mai accavallarsi. «A cinque anni e mezzo lo portiamo ai Primi Calci del Torre Annunziata ’88, al Circolo Oplonti. Era l’unico modo per evitare che mi sfasciasse casa: metteva Luigi in porta e lui calciava. Quanti danni. E poi era sempre davanti alla tv a vedere i cartoni animati: un giorno mise la cassetta di Robin Hood per 8 ore di seguito. Era come sotto ipnosi».
Nella sua vita non ha mai incontrato uno Sceriffo di Nottingham («ha solo tanti amici»), ma una Marianna sì: Jessica che lo ha reso papà di Michela. «Lo stesso nome mio. Perché a queste cose ci teniamo…» dice con orgoglio la signora. Si sposeranno il 23 maggio a Chieti. Non hanno ancora prenotato il viaggio di nozze, perché a giugno Ciro sogna di fare un altro viaggio: «Ma anche se non andrà in Brasile deve essere fiero di tutto quello che ha fatto», spiegano i genitori.

Alla Juve
Un balzo all’indietro. Autunno 1996. Si comincia con il provino al Torre Annunziata ’88 del presidente Vincenzo Carotenuto. I primi istruttori sono Angelo Izzo e Gennaro Roscigno che dopo una settimana lo inseriscono nella squadra di quelli più grandi. Un classico. Lui, classe ’90, sempre a far gol nelle formazioni ’88 o ’89. Torino è nel suo destino: prima la Juve ora i granata che lo hanno preso in comproprietà. Nel mezzo, un giro d’Italia: prima a Siena poi a Pescara e Genova. Sempre in prestito. La Torino delle chiavi a stella nelle mani di metalmeccanici sapienti, ma anche la Torino delle pizzerie napoletane veraci come «Gennaro Esposito», è lì nel suo destino. «Ciro Ferrara si fece consigliare da Filardi, l’ex difensore del Napoli che era osservatore in Campania dei bianconeri. C’era anche la Sampdoria che spingeva per averlo ma la Juve fece prima di tutti». Per il papà, un giorno radioso. Per la mamma invece… «Scoppiai in lacrime, più lontano di così non poteva andare». Il Sorrento incassò circa 70mila euro. Giuseppe Borrello e Guglielmo Ricciardi sono i suoi due scopritori proprio al Sorrento. «Quando lo vidi giocare la prima volta, nel 1999, non era una prima punta. Ma aveva una caratteristica: tirava da ogni parte del campo e segnava. Sempre. La Juve giocò d’anticipo, anche se faticai un po’ a convincere Filardi», ricorda Borrello.

In serie A
Debutto in serie A a 18 anni (contro il Bologna) prendendo il posto di Del Piero. «Un segno del destino: aveva quattro anni quando si fece una foto con Alex che era a Napoli con la nazionale militare – dice papà Antonio – Ma non c’era solo Del Piero nel suo cuore: anche Trezeguet e Quagliarella». Tutti juventini. «Fabio a ogni gol gli manda un sms… è un gioco tra i due. Ma lui nel cuore ha anche il Napoli e il Savoia. Anzi, prima il Savoia. Credo che a fine carriera verrà qui a giocare». Alla sua cittadina resta assai legato, tant’è che qualche mese fa regalò magliette e palloni ai ragazzi del campetto alle spalle della Basilica della Madonna della Neve. «Un predestinato. Aveva 8 anni e scommise 5 mila lire con due miei amici Lello Autieri e Franco Lancella che avrebbe colpito tre volte la traverse su cinque tiri. Vinse Ciro», racconta ancora il papà.
Antonio ha 10 fratelli: Michele, Raffaele e Pasquale giocavano come lui a calcio. Un altro, Franco è stato presidente del Savoia, alla fine degli anni ’70. Gli Immobile sono conosciuti con un soprannome a Torre Annunziata: i Donnapereta. Tutta colpa di quel vezzo che aveva nonno Luigi di prendersi gioco di tutti con una «pernacchia ascellare». Michela e Antonio non nascondono i rimproveri: «Non ci piace quella camminata a guappo… non lo fa apposta, ma deve smetterla di dondolarsi quando cammina». D’accordo. Non si può avere tutto nella vita.
Fonte: Il Mattino

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