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Da Pinochet al Lungomare Panatta: «Ora è una festa»

«Il golfo di Napoli è il palcoscenico più bello del mondo». È una vera e propria dichiarazione d’amore per la città quella di Adriano Panatta, il campione più amato dagli appassionati italiani di tennis per il suo gioco spumeggiante; capace nel suo magico 1976 di vincere gli Internazionali d’Italia di Roma, il Roland Garros di Parigi e la Coppa Davis. E di arrivare fino al numero 4 del ranking Atp (un record ancora imbattuto). Oltre al successo di Santiago contro il Cile, il tennista romano ha disputato altre tre finali in Davis (nel 1977, 1979 e 1980) e ha giocato ben 100 match con la maglia azzurra tra singolo e doppio oltre ad aver ricoperto il ruolo di capitano tra il 1984 ed il 1997.
E Panatta ha anche un record particolare: è stato infatti l’unico a riuscire a fermare, per ben due volte, Bjorn Borg sulla terra rossa parigina (1973 e 1976).
Un anfiteatro affacciato sul golfo, un campo in terra rossa sospeso tra mare e cielo: cosa ne pensa della nuovissima Arena del tennis?
«È una location bellissima, da togliere il fiato. Forse la città avrebbe meritato una sfida più appassionante, contro magari una nazione più competitiva. Napoli è una città meravigliosa dove ho dei carissimi amici: ogni volta che vengo mi si apre il cuore».
Ha un ricordo sportivo particolare legato alla città?
«Purtroppo non ci ho giocato spesso. Però ricordo con piacere un’esibizione nel 1981 contro Bjorn Borg, ma in quel caso al coperto, in un palazzetto dello sport gremito» (per la cronaca vinse Panatta, ndr).
Qual è la prima cosa che le viene in mente ripensando alla storica vittoria della Davis a Santiago del Cile di 36 anni fa?
«Ricordo in particolare la malinconia negli occhi delle persone, degli spettatori sulle tribune. Quello cileno è un popolo generoso: sosteneva i propri giocatori ma durante i match non ci fu mai un momento in cui provarono a darci fastidio. Noi eravamo una squadra molto solida e sapevamo che seppure qualcuno avesse fallito ci sarebbe stato comunque modo di recuperare. E poi una finale è una finale: eravamo tutti in ottima forma. Non a caso eravamo arrivati a Santiago molti giorni prima».
In Italia alla vigilia della sfida c’erano state però molte polemiche legate al regime di Pinochet
«Quella fu una contestazione sbagliata: abbiamo avuto ragione ad andare a Santiago. I motivi della contestazione erano validi ma politici, e ci fu anche un momento di confusione prima della trasferta. Ma resto convinto che sport e politica debbano sempre essere tenuti ben separati».
Lei e Bertolucci in doppio scendeste in campo indossando una maglietta rossa.
«Quella fu una mia scelta: in quella maniera volevamo dimostrare il dissenso verso quel regime».
Torniamo al presente e alla prossima sfida che vedrà gli azzurri impegnati contro il Cile per conquistare la permanenza nel World Group: pensa possa essere pericoloso essere dati nettamente favoriti?
«Assolutamente no. Non credo che i ragazzi prenderanno sottogamba l’impegno: si tratta pur sempre di un match di Davis e senza dubbio tutti vorranno fare bene. Anche perché se vinci sono soltanto complimenti… comunque, visti gli avversari, non vedo pericoli particolari per la squadra azzurra».
La Coppa Davis oggi conta ancora come in passato?
«Mi piacerebbe poter dire che nulla è cambiato, ma credo che non sia più così. Il tennis è diventato col passare degli anni sempre più uno sport individuale. Una volta anche per i big della racchetta, vestire la maglia della Nazionale era tutto: da un po’ di anni, almeno per alcuni, non è più così. Per gli appassionati di tennis, però, il grande fascino della Davis resta immutato». 

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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