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D’Agostino: “Dal sogno Bernabeu al Gobbato, l’odore del campo è sempre lo stesso. Sul centrocampo del Napoli…”

"Jorginho ed Inler sono delle mezzali, non dei registi. Il Napoli avrebbe bisogno di un giocatore in grado di verticalizzare con i tempi giusti"

La partita nel mirino, kick-off tra poche ore, è Pomigliano-Fidelis Andria. Lui, che di campi ne ha calcati a iosa e, non ce ne voglia il vecchio amato Gobbato, ha masticato i vari San Paolo, Meazza, Friuli e chi più ne ha più ne metta, è comunque vigile, concentrato. “Non si possono fare brutte figure”. Anche se quest’anno gioca nei dilettanti, lui è un professionista nato. Parliamo di Gaetano D’Agostino, da qualche tempo playmaker dell’Andria, ambizioso sodalizio pugliese con piazza e storia sicuramente non da D. Incontriamo D’Agostino in albergo, era in stanza per rilassarsi guardando un film. La disponibilità, oltre al C.V., è da campione.

– Quando annusa l’erba di campi come il ‘Gobbato’, dopo aver assaggiato scenari come l’Olimpico o il Meazza, che cosa prova?
L’odore, per uno che ama il calcio, è sempre lo stesso. Ti dirò, il fatto di non aver calcato ancora campi come può essere il Gobbato di Pomigliano, società che so campione di coppa Italia di D e che tra poche ore affronteremo, è uno stimolo in più. 
– Volevo arrivare ad una domanda più specifica. Cosa l’ha portata a scendere in D?
 
La felicità. A 32 anni mi sono trovato a fare i conti con me stesso. Volevo ripartire da zero: riprovare quelle emozioni vissute anni addietro, tornare da dove sono venuto, poter tornare a concepire il calcio nella sua accezione gioiosa, ludica. Con tutte le emozioni che ne conseguono.
– Non posso credere che un giocatore vicino al Real Madrid solo qualche stagione fa non abbia trovato altre offerte.
Non ho detto questo, piuttosto mi sento di dire che sono qui perché l’ho voluto fortemente. Ed il mio non vuol essere uno step di passaggio o un capriccio: voglio far parte di un progetto lungimirante, che metta le basi per gli anni che verranno. La mia è una scelta di vita, condivisa con la mia famiglia. La piazza, poi, è fantastica.
 Un ‘mini-Bernabeu’ per intenderci.
Esatto. Quando ho firmato, alla mia presentazione, c’erano almeno 500 tifosi festanti. Grande attestato di stima nei miei confronti. Mi sono emozionato. Colgo l’occasione per ricambiare la stima: non sono una piazza da D.
 Magari da Lega Pro con lei in cabina di regia?
Ma magari. Ti ripeto: se sono qui non è per una scampagnata. 
– Cosa cambia tra il calcio vero e questo, ritenuto minore?
Ci sono molte differenze, ovviamente. Ma non credere che uno abituato alla A possa avere la presunzione di scendere in D ed ottenere qualcosa senza lavorare. Non voglio usare frasi fatte: so di poter fare la differenza in questa categoria, ma so anche che per farla devo avere la soglia di concentrazione al massimo e non mi riferisco solo alla partita. Uno che ha un palmarés che molti altri suoi colleghi allo stato attuale delle cose non hanno deve sempre dimostrare il suo valore in campo. Massima serietà, a partire dagli allenamenti: ci si deve immedesimare a pieno nel progetto.
 
– Come la trattano i difensori avversari?
Domenica scorsa bene, sono riuscito a segnare. Oggi pomeriggio, invece, non so ancora che trattamento riceverò ma, anche se dovessero raddoppiare le marcature su di me, sarò tranquillo: in quel modo lasceranno libero un altro compagno e ti assicuro che l’Andria è un’ottima squadra. Raddoppiare su di me potrebbe essere un’arma in più per i miei compagni.
– C’è quindi qualche talento da categoria superiore?
Sì, uno in particolare. Ma non mi chiedere di fare nomi: ci serve ancora (ride ndr).
– Perché è all’Andria?
Perché ho parlato col direttore sportivo, Vincenzo De Santis, ed ho capito che era la scelta giusta. Da cosa? Oltre che per i motivi prima elencati, mi premeva staccare un attimo la spina con le ansie, i voti, i giornali ed i riflettori puntati. Volevo poter essere apprezzato per quello che sono, un ragazzo, un marito, un padre, una persona perbene. Inoltre questa scelta mi ha aiutato a fare un po’ di pulizia in agenda. Via molti agenti FIFA, procuratori e compagnia bella, non che siano tutti male, per l’amor di Dio: solo che in questo modo c’è più spazio per gli amici, quelli veri. Da quando sono qui mi hanno cercato molte altre realtà di categorie superiori, ma da qui non mi muovo: la stretta di mano al direttore De Santis vale più di ogni altro contratto. Questa è una scelta di vita, coadiuvata dalla mia famiglia. 
– Precedentemente abbiamo appena sfiorato l’argomento Real. Non vorrei cadere nella banalità, ma cos’ha da dire a riguardo?
Se vuoi sapere il motivo per cui non ho vestito la maglia merengues non saprei dirtelo con sicurezza. La verità assoluta la conosce una sola persona: il presidente Pozzo. Dalla mia, posso dire che credevo che l’affare fosse praticamente fatto: avevo anche preso il biglietto aereo per Madrid. Un volo che però non ho mai fatto. Pazienza. 
– Ora la Fidelis Andria è il suo Real. Ma che squadra è quest’Andria? 
Una squadra forte, sotto tanti aspetti. Quello che più mi piace evidenziare è comunque quello umano: ho la fortuna di stare in un gruppo super. I miei compagni sono bravissimi a non rendere il peso del mio nome una spada di Damocle ed io, dal mio conto, mi sforzo di fare lo stesso. In campo poi, sogno di vedermi l’anno prossimo qui, con la stessa maglia, magari in categorie superiori, sempre con questo ambiente fantastico. 
– Domanda da intenditore. Per uno del mestiere come lei, qual è il problema del centrocampo del Napoli, settore spesso criticato da media ed addetti ai lavori?
Seguo spesso il Napoli e ti dirò che a me i centrocampisti della rosa piacciono molto. Ci sono molti ottimi giocatori ma non c’è un top player in cabina di regia e quello, alla lunga, fa la differenza. Jorginho ed Inler hanno buona tecnica ma sono comunque mezzali, non registi. Credo che per fare il salto di qualità ci sia bisogno di un giocatore capace di verticalizzare con tempi giusti e qualità verso gli attaccanti, tutti molto forti e rapidi. 
Fonte: Mirko Panico per campaniagoal.it
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