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De Giovanni: “Reina, il guerriero con i guantoni”

Tra tutti i volti nuovi azzurri, quelli che hanno saputo formare il nucleo sorridente di una squadra vincente, spicca il capoccione lucido di Pepe Reina, trentenne spagnolo campione del mondo e d’Europa, arrivato da Liverpool. Sembrava pleonastico, in fondo eravamo coperti nel ruolo, e nei primi giorni, quelli della conoscenza, più un intrattenitore che un calciatore. Piacevole, intelligente, ironico e brillante, pazzo come un portiere deve essere, esultante in modo esagerato dopo ogni gol; addirittura, dopo le amnesie contro il Chievo in cui il carneade Paloschi pareva Garrincha, abbiamo pensato che fosse un mezzo pacco e ci siamo preoccupati, perché è il portiere il vero fondamento di ogni squadra.
E invece, proprio tra le mani di questo clown coi guantoni è nato, probabilmente, il Grande Napoli del terzo millennio.
Chissà se un giorno, non molto lontano, si aprirà un dibattito su quale fu il momento in cui nacque il Napoli di Rafa Benitez. Ci auguriamo di sì, perché vorrebbe dire che si sarà trattato di un evento memorabile, e si diventa memorabili tramite una sequenza di grandi vittorie.
Ci sarà chi farà riferimento alla presentazione, alle frasi storiche e ai proclami, sin prisa pero sin pausa, e all’inizio del rapporto con la città, i tifosi e l’informazione. Ci sarà chi dirà che la campagna acquisti, nella quale ha giocato un ruolo così importante l’allenatore, è stato il momento fondamentale; perché mai e poi mai in passato calciatori provenienti da Liverpool e Real Madrid avrebbero accettato di venire in riva al golfo, se non per essere diretti da uno dei migliori trainer del mondo. Ci sarà anche chi farà rimontare al debutto vincente col Borussia, vicecampione d’Europa, l’approdo a una dimensione continentale della squadra azzurra, il momento d’inizio di quella che potrebbe essere una favolosa cavalcata. O anche a un gesto tecnico, la capocciata di Higuain, l’ouverture di Hamsik nella prima giornata contro il Bologna.
Personalmente, ci iscriveremo al partito di quelli che diranno che il momento in cui è nato il Napoli di Benitez, l’inizio di tutto, è stato il quattordicesimo minuto del secondo tempo di Milan Napoli, e non corrisponde alla segnatura di un gol azzurro, né a una stretta di mano tra presidente e allenatore, né all’ingresso in campo di un calciatore in grado di fare la differenza. Al minuto quattordici della ripresa, Balotelli mette il pallone sul dischetto e si appresta a tirare il rigore numero ventidue da quando è professionista, avendone messi a segno ventuno. C’è un motivo, per cui la sua percentuale di realizzazione è il cento per cento: il suo modo di tirare, che gli è consentito da una tecnica straordinaria e dai riflessi che Madre Natura gli ha donato, teoricamente non prevede errore. Il centravanti della Nazionale aspetta infatti, rallentando la rincorsa fin quasi a fermarsi, che il portiere si lanci, e poi semplicemente prende in un millesimo di secondo una decisione su quale angolo scegliere. Una dote naturale, qualcosa che non si può insegnare né imitare.
Ai suoi occhi si presenta un portiere come un altro, in tutto simile ai ventuno precedentemente trafitti. La partita, una volta sbrigata la formalità, sarà riaperta e siccome il Napoli balbetta, proponendo forse il peggior match da quando è iniziata la stagione, la mezzora più recupero che resta sarà più che sufficiente a ribaltare il risultato, rilanciando un campionato che per i rossoneri altrimenti potrebbe essere già compromesso.
Balotelli è fortissimo, e in gran forma. Ha già ripetutamente tirato verso la porta azzurra, e ha il gol nel piede (come poi confermerà, segnando al novantesimo con una meravigliosa quanto imprendibile traiettoria). Non gli può sfuggire l’obiettivo. Fa dieci passi indietro, misurando la distanza: come il fuciliere di un plotone d’esecuzione, come un cecchino infallibile fissa la vittima e poi abbassa lo sguardo sul pallone. Il rituale prevede cinque passi di rincorsa, poi il semiblocco con sguardo al portiere, poi il tiro, poi la fuga a braccia alzate sotto la curva. Parte, sicuro; si ferma, alza lo sguardo: a questo punto il portiere dev’essere in caduta, e lui sceglie l’altro lato.
Ma questo è il momento in cui nasce il Napoli di Benitez. Quindi, lo sguardo preparatorio di Balotelli trova Reina in piedi, fermo: sceglilo tu, l’angolo. Tira, e io mi butto. A quel punto l’incertezza avvelena il piede, e parte un tiro incerto non particolarmente angolato che il portierone azzurro va a prendere con un balzo felino, deviando in angolo.
Ci sono momenti magici. In questi momenti, una squadra può andare a vincere su un campo dove non si vinceva, guarda un po’, da ventisette anni; e una partita che poteva prendere una strada diversa si rimette sui giusti binari; e si va a vincere il primo dei grandi scontri diretti, su un campo su cui, crisi o non crisi, infortuni o non infortuni, saranno in pochissimi a prendere l’intera posta. Momenti magici.
Per il sottoscritto e fino a prova contraria, il Grande Napoli di Benitez, tecnico con l’iniziale giusta (Bianchi e Bigon, per fare un esempio) nasce sulla meravigliosa parata di Pepe Reina, il top player che non ti aspetti, l’uomo voluto proprio dal tecnico per allevare Rafael e per accompagnare l’anno di formazione di una nuova era.
A pensarci, è giusto che sia nato sul pugno proteso di un guerriero sorridente, quello che tra i nuovi eroi più si è calato dentro la città. Quello che sembra nato qui, e destinato a rimanerci anche oltre le più rosee previsioni.
È proprio giusto.

Fonte: Maurizio De Giovanni per Il Mattino

La Redazione

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