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Grava: “Mi sono emozionato come un ragazzino”

Vargas starà fermo un paio di settimane

Ma la ruggine dov’è finita? Tredici mesi girando nel vuoto, in quell’angolo ch’è il nulla e che riempie le partite di chi non gioca: un anno e un mese, a soffrire, a lottare, a impegnarsi come se la domenica fosse pure sua e non solo di compagni divenuti anche amici, anzi fratellini, anzi nipotini da coccolare, da assistere e quasi da cullare. Gennaio 2011, Napoli-Fiorentina, si perde nella notte dei ricordi, assai sfocati. Ma poi, domenica 12 febbraio 2012, un «fratino», quelle canotte giallo fosforescente, ridà colore: «E’ stata un’emozione, mi sono sentito un ragazzino».  Trentacinque, ma mica si son visti: quel giovanotto lì, Gianluca Grava, sa bene come si fa per prendere a calcio la paura; ci si mette a giocare con se stesso, dribblando Paloschi o Pellissier, rischiando, sapendo ch’è andata sempre così nella sua carriera, Casertana, Turris, Ternana, Catanzaro. Dalla polvere della provincia si sorge menando fendenti, entrando in tackle, mostrando gli spigoli della propria faccia: «Non dite che questa sera sia stata determinata dal mio rientro, non c’entra assolutamente nulla Questa è una squadra che ha fame. I tre punti erano troppo importanti per noi». 

L’OTTO VOLANTE – La storia comincia in un altro calcio, in quel sottoscala ch’è la serie C, in quel pathos settimanale per ritrovar la gloria e gli scudetti smarriti nel Fallimento. Gennaio 2005, quando ancora era Napoli soccer, e tutto andava ricostruito dalle macerie: Grava arriva, per non andarsene più; per diventare, nel suo piccolo, con l’umiltà che l’accompagna, una bandiera. E’ subito amarezza, con lo spareggio perso ad Avellino; e poi è una scarica di gioia a ritmo continuo: la promozione in serie B, la promozione in serie A, la riconferma con chiunque, con Reja, con Mazzarri che lo rilancia dopo la parentesi oscura don Donadoni, con De Laurentiis che va in clinica, all’indomani dell’infortunio che potrebbe costargli la carriera e gli concede il rinnovo. Otto anni, adesso, e dentro, in quel contenitore infinito, c’è pure la parentesi contro il Villarreal, il cadeau che arriva dal cielo, pardon da Mazzarri, il gesto di riconoscenza per l’attaccamento alla maglia, per la professionalità dimostrata: una presenza in Champions per dare ulteriore senso alla propria carriera e un’altra bella favola da potersi raccontare un giorno, con i propri bambini.
POVERO VARGAS – Il calcio è double face e nella stessa offre sensazioni divergenti, anzi contrastanti: di qua c’è il sorriso di Gianluca Grava, che riafferra le sensazioni d’un calciatore a tempo pieno; e di là, nello stesso stanzone, c’è il viso sofferente di Eduardo Vargas, il cileno che entra e (praticamente) esce dal Napoli per un bel po’. Si chiama sfortuna e però bisogna conviverci, perché quando il cronometro ha ormai consumato i suoi giri, tocca a Vargas: è un’opportunità, è un modo per prendere ancora un po’ di confidenza con il San Paolo, è soprattutto – ahilui – il passaporto per la malinconia più. Distorsione alla caviglia destra, per controllare un pallone sporco che finisce a fondo campo, trascinando con sé il cileno, provato dal dolore, che compare immediatamente sotto al gonfiore. Serviranno un paio di settimane, almeno. Grava gli farà compagnia.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
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