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Il Fatto Quotidiano attacca De Laurentiis: “Toccato il fondo per via di un signore che dorme male e si risveglia peggio”

Più risoluto del Galliani di Marsiglia: “Fuori tutti dal campo, subito”. Più efficace dell’indignato emiro del Kuwait, precipitato dalla tribuna al campo, in Spagna, nell’82, per ritirare i sudditi suonati dall’arbitro cornuto e dalla Francia. Più di chiunque altro perché De Laurentiis Aurelio, nato nello stesso giorno di maggio in cui il Piave mormorò, è competitivo e alla guerra di trincea preferisce il bombardamento. Spegne la luce, segrega la squadra obbligandola a disertare la premiazione della Supercoppa, irradia in mondovisione la nuova frontiera di un non inedito, ma affinato trailer di purissimo calcio panettone. Accade a Pechino, dove un Napoli isterico, ridotto in 9 e senza guida tecnica (espulsi Zuniga, Pandev e anche Mazzarri) perde per 4-2 ai supplementari con una Juve che tra un pugno e l’altro, trova il tempo di festeggiare dedicando il trionfo commerciale, in coro polifonico, all’allenatore Conte, appena squalificato (10 mesi) per calcio scommesse. Spettacolo lunare, visto da decine di milioni di spettatori, commentato all’estero, utile (sulla carta) a stipulare affari e proiettare l’immagine del nostro calcio nella mecca dei paesi che oggi comandano il gioco. All’ultimo stadio del dichiarazionismo, negli ultimi 15 giorni, Aurelio aveva esternato sull’intero scibile.

Prima la grottesca tiritera Pechino sì, Pechino no, Pechino più tardi, con annessi preventivi di penale ipotetica in caso di contratto stracciato, telefonate compulsive con Agnelli, crisette istituzionali con la Lega, fuoco amico della curva: “Pechino? Spediteci una cartolina. Noi Ultras non made in China!” e innocenti bugie: “Io non vado”. Poi, perso per perso, mentre prenotava il volo, l’antico pragmatismo. La monetizzazione trasversale. Ubiquo e umile sul San Marzano: “Mi piacerebbe poter investire in colture biologiche in Cina, importando la cultura contadina italiana. Sono un eccellente tecnico della distribuzione del prodotto, mi sarebbe facile organizzare la distribuzione del pomodoro anche per un miliardo e mezzo di persone”. Collaborativo sul cinema: “Un team di professionisti cinesi arriverà a Roma per realizzare un film scritto e pensato per il mercato della Cina”. Tutto naufragato adesso, in uno specchio rovesciato che riflette il profilo delle future vittime di lazzi e barzellette. Una rivoluzione che archivia decenni di cinesi in coma, la pur immortale imitazione lotitesca: “Semo scesi a Pechino, ahò, ce stavano 3.000 cinesi, devi vede’ che tifo ‘folza Lazio, folza Lazio'” e accende il faro sul solo De Laurentiis.

Meno di una settimana fa, in una delle tante conferenze stampa trasformate in avanspettacolo, Aurelio aveva scelto la nota elegiaca: “Ho prodotto un film sul rugby, si chiama terzo tempo”. A tappe forzate ne ha mostrato la summa al pianeta, promuovendo il De Coubertin che è in lui. Maurizio Beretta (dimostrazione di impotenza assoluta) avrebbe cercato invano di convincerlo, mentre l’agente di Pandev, Pallavicino accarezzava l’uomo nero munito di fischietto, Mazzoleni su Twitter “Ancora tu” e sullo stesso network (contagio?) il Napoli con una nota avara, sintetizzava in rete senso e nucleo di una figura che sul web, in nutrita schiera, definivano “di merda”: “Al termine della partita di Supercoppa il Napoli ha deciso di non presenziare alla cerimonia di premiazione e non rilasciare dichiarazioni”. Un bel clima, a 15 giorni dal campionato e in coda a un’estate che tra pentiti, patteggiamenti, sit-in minacciosi e quotidiani dileggi della giustizia sportiva (“dittatori”, copyright Agnelli), aveva già mostrato un pozzo. Si riteneva fosse senza fondo e ci si sbagliava per difetto.
Il fondo è stato toccato. Non era mai successo. Merito di un signore che dicono dorma male e si risvegli peggio. Il Napoli in silenzio stampa (con De Laurentiis che una volta alla settimana tracima su doppi paginoni dei quotidiani specializzati) sarebbe la battuta migliore del mese. Se non precedesse la successiva. Basterà aspettare. Se i giornalisti sportivi sono “cafoni”, le mani addosso un espediente a cui ricorrere e le croniste impertinenti (tema l’addio a Lavezzi) come riferisce il Corriere, si trovano arruolate loro malgrado: “Te ce metto a te nuda in mezzo al campo”, si può essere ottimisti.

Meglio di tutti l’ha capito il collega Zamparini: “De Laurentiis deve fare i film, di calcio non capisce nulla. De Laurentiis recita”. A volte a soggetto, altre d’impulso. Un giorno forse se ne andrà, come delicatamente, irritato dai risultati in altalena, aveva paventato ad aprile: “L’obiettivo reale? Voglio sta’ nei primi 5… Non debbo fare karakiri (sic) o dire, come molti pontificano ‘è una stagione buttata nel cesso'”. Pausa: “Ma che cazzo avete vinto a Napoli? Perché io poi me ne posso pure anda’ perché poi uno si rompe i coglioni e se ne va… se io devo stare qui bisogna che tutti quanti armonizziamo… Stiamo con i piedi per terra, perché qui a Napoli (urlando, ndr) non funziona un cazzo. A Napoli c’è solo il calcio”. Sospensione da Re Sole. “E allora, ringraziatemi”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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