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Italo Cucci: “Ora Walter è un Maestro”

Napoli dovrebbe fare una grande festa per Walter Mazzarri, per le sue trecento panchine senza macchia, per il suo Napoli che diventa sempre più bello e corre solo il rischio di accorgersene. Ieri se ne son visti i segni: a tratti, gli azzurri giocavano come gli Harlem Globe Trotters. Ne parleremo. Anche se il primato in classifica è prematuramente motivo di certezze, Napoli dovrebbe fare una grande festa all’unica istituzione cittadina che gode di stima, anzi d’ammirazione, in Italia, in Europa, nel Mondo. So che gli seccherebbe, ma a De Laurentiis e Mazzarri bisognerebbe chiedere come resuscitare una città ferita, addolorata, umiliata. Aurelio prese il Napoli nelle stesse condizioni, guardate dove l’ha portato. E la città li segue perché non promettono miracoli, non sfruttano San Gennaro, non vendono sogni ma – come dice uno slogan – solide realtà. Ieri la vittoria ha mostrato aspetti contraddittori: è parsa facile, e almeno questo dice il risultato, mentre il Parma di Donadoni ha creato vere difficoltà non mollando mai la presa, anche se in concreto gli è mancato l’uomo risolutore; il Napoli ne ha in abbondanza, i Tre Tenori cantano ancora anche se Pandev non ha l’impatto teatrale che aveva il Pocho, e il quarto è già pronto per conquistare definitivamente la scena: Insigne non soffre la cura Mazzarri e mentre il mondo intero (Prandelli compreso, e fa male) lo copre di elogi sperticati, lui studia al collegio di Castel Volturno e impara a unire alla classe innata la concretezza che costa sempre sacrifici. Mazzarri ha detto che non ha più titolarissimi e lo vedi da come sanno uscire di scena i big senza far drammi: Inler – ad esempio – sa di dover aggiungere continuità alla sua bravura perché Behrami è ormai un suo pari. Con la naturalezza del fuoriclasse, Hamsik si offre all’ammirazione di tutti perché è diventato il vero uomo-squadra, Fiat Lux, più dello stesso Cavani che è un poeta del gol, come lo erano Rossi e Baggio, e i poeti non amano comandare. La forza di Hamsik è tutta nella sua allegra umiltà che lo ha fatto felice quando doveva cedere a Lavezzi la chiave del gioco e del ritmo e oggi lo esalta perché senza volere e senza sapere si è liberato di un ottimo ma scomodo compagno. Se c’è un difetto, in questo Napoli ispirato da Hamsik, è l’eccessiva voglia di giocare, di divertirsi a volte senza tener conto della rabbia agonistica degli avversari: anche ieri, contro un Parma che cercava ogni strada per ferire, ci sono stati tocchi in più, momenti di periglioso narcisismo, pause di rischiosa sosddisfazione. Per fortuna, la Banda Mazzarri è assistita da un’ottima preparazione fisica e quando il Maestro prende in mano la bacchetta – non più descamisado ma in abito scuro – tutti tornano al lavoro con serietà. Complimenti a Mazzarri per le sue trecento panchine e per non avere mai scaricato sui giocatori le responsabilità dei momenti negativi. Quando ho sentito Prandelli prendersela con gli azzurri dopo le penose esibizioni di Sofia e Modena, e ieri il Mourinho sconfitto commentare «non ho una squadra», lui che dirige il Real Madrid, e ieri ancora Zeman prendersela con le distrazioni dei suoi ragazzi, ho avuto la conferma che Mazzarri merita davvero il titolo di Maestro. E mi è piaciuto battagliare con lui, qualche volta. Co altri, è tempo perso.

Fonte: Il Roma

La Redazione

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