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La perla di Higuain non basta, tanta amarezza per il Pipita: “Che peccato”

Quando il pallone si alza sul corpo di Perin, Higuain non guarda più verso la porta, è talmente sicuro della parabola che già si sta indicando come protagonista, perché sa che un gol così non è mai solo un gol.
È un atto dispari figlio di una andatura perduta al portiere. Il suo tocco ha la consuetudine del metodo che si fa regola, quella dei colpi difficili usati con dimestichezza, quella di chi sa deporre in porta – con un gesto d’unicità – la palla. Ad una velocità pazzesca. E dice che quella è la direzione da seguire sempre: ostinata e contraria alle difese, quella della bellezza, e della capacità di saperle beffare. Una parabola che scavalca gli ostacoli, che irride anche la bravura di un portiere, quello del Genoa, Mattia Perin, che era uscito bene, ma con un secondo di ritardo.
In quel ritardo c’è tutta la distinzione tra il metodo e il fine. E in quel ritardo c’è il sinistro di Higuain, che si inventa una palombella, un cucchiaio che accompagna in porta le speranze del Napoli. In quella parabola c’è quasi una vocazione monacale al gol. L’inconfondibile tocco del genio che si distingue, l’esagerazione che prende forma. Una precisione che segna la differenza, col campo che si fa deserto biblico, nonostante la brillantezza di Mertens e l’intelligenza di Hamsik, è il fenomeno di Higuain che ormai si riproduce in serie, distribuendo palloni con una dimestichezza da tavolo, quasi che passasse il sale invece che lanciare Callejon, quasi che giocasse a ping pong piuttosto che aprire a Insigne.
È una continua promessa di andare oltre, di scavalcare la delusione nella quale, spesso, il Napoli, inciampa. Higuain è la deviazione rispetto alla normalità. Il suo gol non rimette chiese al centro dei villaggi, né ristabilisce priorità, è piuttosto la luce orfana della bellezza, che si mostra in periferia, e per paradosso trova una eco maggiore proprio in una partita non vinta. Nel momento in cui il pallone, che Hamsik gli serve, tocca il suo piede si realizza il futuro, perché è da colpi simili che il Napoli troverà la sua nuova direzione, persino quando pareggia in casa. C’è una tale eleganza, e un tale distacco aristocratico nei movimenti che portano quel pallone nella porta del Genoa e alle spalle di Perin, che potrebbe anche finire la partita ma purtroppo non è così.
Niente potrà essere più alto, nemmeno il bel gol di Calaiò, che concretizza il suo rammarico da ex, nel pareggio genoano. Ma è il passato, un passato distante e quasi dimenticato, lontanissimo. Mentre il gesto di Higuain non è solo il presente, anzi, è il futuro possibile, quello che dice a chi non sa aspettare che c’è un’altra possibilità, a chi non sa che il pareggio nella vita non esiste ma sul campo a volte è un risultato utile, anche quando l’utilità è degli avversari. E non importa che non si vinca, il calcio è fatto anche di atti dispari che escono dalla narrazione delle partite, che diventano altro, pezzi da museo visivo, ricordi avulsi dal risultato. Sono spazi separati dal resto. Vanno presi così. Metti una sera d’inverno un gran gol che smorza la tristezza d’aver perso due punti in casa. E se anche il Napoli non vince, se anche nessun pensiero gioioso percorre il San Paolo, si torna a casa con negli occhi un gran gol. Quello di un attaccante di grossa taglia che tiene a bada non solo il tempo ma anche il suo scorrere. Capace di trasformare con un solo tocco – come parte finale di una composizione frammentata di gesti che contemplano sguardi e finte – il pallone da una relazione complicata in un gol magnifico.

Fonte: Il Mattino.

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