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Napoli-Chievo, e quel “vizio” di steccare con le piccole da cancellare assolutamente

LA VIA. E però, per riuscire a primeggiare, è la somma che fa la differenza e il Napoli ha nel suo Dna una sorta di nobiltà che lo frena o gli nasconde le sane insidie della provincia: due anni fa, per tornarci su, fu catastrofe eguale; e peggio ancora tre anni fa, quando la Champions venne dilapidata a Bologna, nel contesto d’una gara da masochisti.

SETTEMBRE. Ventuno giorni per darsi delle risposte e magari smetterla di farsi delle domande anche oziose però indiscutibili: si ricomincia dal Chievo, una bestia nera accertata, si prosegue con l’Europa League, si va a Udine, che campo tenero non lo è mai stato, né con Benitez né prim’ancora, si torna al san Paolo con il Palermo, si va a Reggio Emilia con il Sassuolo c’è ancora l’Europa che chiama e poi si chiude con il Torino a Fuorigrotta: chiamateli esamini, se volete, però sono test di efficienza ed affidabilità.

IL GAP. Per dar libero sfogo, ognuno a modo proprio, alla curiosità statistica, basta ingegnarsi e mettere in fila ciò che non è stato nella passata stagione, quella sequela di rimpianti cominciata proprio con il Sassuolo (1-1) e via via proseguita con il Parma (0-1), con l’Udinese (3-3), a Cagliari (1-1) nelle sfide ricordate con Bologna-Chievo-Atalanta (due pareggi e basta). Insomma, un bottino, riserve d’energia anche nervose lasciate cadere sull’erba d’un campionato svilito sin da dicembre e mai più ripreso: contraccolpi emotivi che incisero, e quanto, e che ora Benitez vuole fronteggiare ripartendo da un concetto chiarissimo: «Basta pensare all’Athletic Bilbao e al mercato: noi siamo questi ed abbiamo quattro obiettivi; e siamo anche forti».

TABELLA. Però poi le impressioni che si avvertono vanno rivelate in campo, rimuovendo ogni incrostazione e qualsiasi difficoltà, accomodandosi e leggendo dentro se stesso e avendo cura di saper guarire da quello ch’è stato un malessere persistente, ricorrente, dell’ultimo triennio almeno. Il Napoli grande con le grandi è però piccolissimo, quasi inesistente, con le piccole: come se fosse ostaggio della sua autorevolezza, del suo fascino, di una sua statura sotto la quale non riesce a piegarsi. Ma poi, quando la stagione si chiude, nel conteggio entrano anche quelle vittorie (mancate) e quelle sconfitte (brucianti) e quei pareggi (penalizzanti). E per sentirsi alla pari delle altre, per provare ad esserlo, serve imparare a scoprire un’anima un po’ provinciale.

Fonte: Corriere dello Sport
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