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Napoli, evoluzione azzurra

Il tecnico azzurro ha cambiato modulo e giocatori ottenendo ottimi risultati sul campo

Quando ha realizzato che nel Napoli avrebbe prevalso la filosofia dei piccoli passi e che il tetto-ingaggi sarebbe cresciuto insieme con il fatturato, Mazzarri non s’è perso d’animo. Ha cominciato a disegnare il suo puzzle ideale e ad individuare quei ruoli che andavano potenziati meglio; a cercare ricambi adeguati in ogni reparto; ad ipotizzare una formazione che si avvicinasse quanto più possibile alla sua idea di calcio. Non prima, però, di trasmettere allo spogliatoio quei concetti basilari che avevano rappresentato il segreto della sua carriera da tecnico: portare rispetto ai compagni; mai discutere le scelte del tecnico; giocare con la stessa personalità in casa e fuori; allenarsi con scrupolo e dare tutto se stessi in campo. Con questi principi, il tecnico di San Vincenzo aveva ottenuto risultati importanti ovunque avesse allenato, partendo peraltro dalle fondamenta, settore giovanile al Bologna, C2 ad Acireale, C1 alla Pistoiese, B al Livorno, A alla Reggina ed alla Sampdoria. E tali dovevano essere inculcati anche a Napoli. La continuità della guida tecnica è stata fondamentale per portare avanti il disegno. In tre anni e mezzo Mazzarri è riuscito a formare un mosaico che si avvicina parecchio al suo modello di calcio.

IL PRIMO NAPOLI – Trovò un gruppo che non aveva formato lui. E che mancava di un esterno sinistro ad hoc nonché di qualità in mezzo al campo. Così Mazzarri cominciò lentamente a plasmare quell’organico non proprio bene assortito per la sua idea di calcio. Chiese ad Aronica, un suo fedelissimo, di adattarsi sull’out sinistro di centrocampo; a Grava, di agire al centro della difesa ai lati di Cannavaro; e poi iniziò ad istruire Pazienza sui cambi di gioco repentini, nonché chiedere a Gargano di stazionare davanti alla difesa ed andare a mordere le caviglie a chiunque s’avventurasse dalle sue parti.

Aveva però diversi «equivoci». A centrocampo, Cigarini, non riusciva ad interpretare il ruolo dell’interno e Dàtolo sembrava inadatto ai compiti di laterale in una linea a cinque; in attacco, infine, Quagliarella faticava ad entrare in sintonia con i compagni e la competizione con Denis male era sopportata da entrambi. Eppure non andò male, sesto posto.

IL SECONDO NAPOLI – L’anno successivo, il vero colpo fu l’acquisto di Cavani. Mazzarri convinse De Laurentiis che quello sarebbe stato l’attaccante ideale per il suo gioco. E che avrebbe rimpiazzato Quagliarella. Mai intuizione si rivelò più geniale. Così come eccellente fu l’opera di convincimento su Zuniga nel cimentarsi sulla sinistra. E nonostante una serie di arrivi non proprio indovinati (da Yebda, a Sosa, da Dumitru a Mascara), il Napoli ottenne il migliore risultato della gestione Mazzarri: terzo posto edapprodo in Champions League.

IL TERZO NAPOLI – Mollato Pazienza, ecco Inler, poi Dzemaili, Britos, quindi Pandev. Ma anche Santana, Fideleff, Fernandez, di nuovo Lucarelli. L’infortunio di Britos e lo scadimento di forma di Dossena ripropone il problema sull’asse di sinistra ma Aronica rimedia ancora lui. Il Napoli fa bella figura in Champions ma in campionato strappa solo un quinto posto e scivola in Europa League.

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

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