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Prandelli: “L’Italia come il paese, deve mettersi al passo dell’Europa che va più veloce”

«L’Europa va più veloce, noi dobbiamo metterci al passo». Cesare Prandelli parla di calcio, e subito si rende conto che il parallelo è automatico. «Sì, sono parole che si adattano perfettamente anche alla situazione sociale e politica: perché il nostro calcio è esattamente come il Paese», dice all’indomani di uno Spagna-Italia che ha definito ulteriormente, con crudele sincerità, il divario dei valori. Ha negato nei giorni scorsi di voler diventare commissario unico. Però non ha nascosto che gli piacerebbe che la sua nazionale «avesse il passo veloce di Renzi in politica. Quando ho detto che Matteo farà proposte interessanti anche per il calcio, era solo una sensazione di uno che lo conosce, nessun annuncio…». Per ora, a rimettere in sesto il calcio italiano strapazzato dalla Spagna («la nota positiva è il carattere nelle difficoltà») dovranno pensare ct, Figc, Club Italia. E ora che l’appuntamento con Abete per discutere del dopo Mondiale si avvicina, Prandelli lancia un nuovo messaggio: «Tolgo tutti dall’imbarazzo, me per primo, perché il Mondiale è troppo importante: se troviamo l’accordo bene, altrimenti sto fermo».
Prima del 12 marzo, visti gli impegni del presidente federale, la trattativa non partirà, entro fine marzo la soluzione. Prandelli vuole restare, Abete lo vuole confermare. Quattro anni formula chiara, senza clausole su svincoli in caso di chiamate di club (semmai, impegni verbali) né vincoli ai risultati di Euro 2014. Semmai, il punto interrogativo è il «progetto tecnico»: Prandelli e Federcalcio sono pienamente d’accordo sul gap di competività del calcio italiano, ma il precedente delle seconde squadre – idea lanciata da Albertini e Prandelli e bocciata dalla Lega Pro – è l’esempio di come le resistenze dei club siano difficili da sconfiggere finché vive il diritto di veto. Su una squadra nazionale di giovani da far giocare in un campionato minore ci sono spiragli, qualcosa si potrà fare sui centri federali in giro per il territorio. Insomma, un compromesso è possibile, ma c’è da lavorare.
Da un punto di partenza però Prandelli non si allontana: il riconoscimento unanime di quanto indietro sia ora l’Italia. «Mai in quattro anni di panchina azzurra mi era capitato di vedere a marzo tanto ritardo di condizione fisica dall’avversario – sottolinea – Non sono allarmato, a cento giorni dall’Europeo di due anni fa eravamo nelle stesse condizioni: ricordate quando perdemmo con la Russia, e non sapevamo da che parte guardare? Però non dobbiamo nasconderci dietro i problemi. La Spagna va avanti, continua a proporre giocatori. E noi invece fatichiamo». L’Italia del calcio ha le sue grane contingenti: l’incognita del recupero di Rossi, gli alti e bassi di Balotelli, la mancanza di terzini, l’attacco che via via ha perso certezze. Ma il ct prova ad allargare l’orizzonte. «Se a marzo corriamo tanto di meno degli spagnoli, qualcosa ci deve essere. Non voglio fare polemica con i colleghi o con altri, ma una riflessione generale: se tre squadre hanno giocato domenica notte, qualcosa i suoi giocatori azzurri avranno pagato. Ma il fatto è che poche squadre, nel nostro campionato, giocano a ritmo intenso. All’estero si gioca con densità in mezzo al campo, intensità di corsa sui 90′, un concetto di pressing a tutto campo: l’Europa va veloce, e noi dobbiamo metterci al suo passo. Se non abbiamo grandi mezzi per diventare veloci, dobbiamo avere grandi idee, e attingere a tutte le nostre risorse e alle nostre qualità». Il segnale dello stage («bello, è un panoramica sul futuro») va nella direzione auspicata da Prandelli per il rinnovo. «Ho grandissimo rispetto per la nazionale e per le persone che la governano – la conclusione del ct – Parleremo e vedremo di trovare un punto di incontro. Se trovo l’accordo, bene, altrimenti rimango fermo». Un po’ come il calcio italiano.

Fonte. Il Mattino.

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