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Renato Di Giovanni, il ricordo degli ex compagni: “Un vero amico, ma la vita gli è sfuggita di mano”

"Il destino gli ha fatto un brutto scherzo, ognuno di noi ricorderà"

«Che dire, sono sconvolto. Povero Renatino. Avevamo tanti sogni, e volevamo spaccare il mondo». Così ricorda Renato Di Giovanni, il suo amico, Antonio Romano, stessa squadra Primavera, quella della leva del 2014, attaccante di scuola napoletana, spedito a Prato a farsi le ossa, e in questi giorni a casa per il recupero da un infortunio. Giocava a calcio, proprio nella squadra primavera del Napoli, quella degli under 18, Renatino – così lo chiamavano i suoi amici -, 21 anni compiuti il 19 gennaio, ucciso alla maniera dei boss, perché spacciava droga. Una brutta storia. Che ha sconvolto l’ambiente del calcio giovanile regionale, anche se la promessa mancata del pallone, da un paio d’anni aveva messo le scarpette al chiodo e i suoi 90 minuti li disputava in una piazza di spaccio nella zona di via Epomeo. «Lui era un vero amico – racconta Antonio Romano -. Forse intuiva che aveva raggiunto il suo limite, ma questo lo faceva impegnare di più. Non credo nel destino. La vita, quando sei un atleta, te la costruisci con le tue mani. E forse a Renato la vita, chissà perché, gli è sfuggita di mano. Lo ricorderò per sempre». Ieri pomeriggio, la squadra primavera del Napoli è scesa in campo contro la Lazio, per il campionato di categoria. Ha giocato nel complesso polivalente Olimpia di Sant’Antimo dei fratelli Cesaro, un centro che fino a poco tempo fa, ospitava la squadra del Milan per le trasferte sul Golfo. Spalti occupati dai supporter e dalle famiglie dei 22 ragazzi in campo, e da qualche scout in cerca di campioni sorpreso a smanettare con uno smart phone, di quelli dotati di un app che calcola all’istante passaggi, chilometri percorsi e altre statistiche. E c’è anche Giampaolo Saurini, tecnico del Napoli Primavera dal 2012 e che ha anche allenato Renato. Poco prima del fischio d’inizio, due donne anziane con il forte accento romano, al seguito di qualche nipote in campo bisbigliano, ma non troppo: «E che avrà fatto mai sto pischiello (ragazzino in romanesco), per fargli fare quella brutta fine?». Il uplice fischio, chiude il primo tempo. Uno a zero per gli azzurri, marcatore, Raffaele Russo. I bambini assaltano il bar del centro sportivo, gli adulti li seguono per un caffè e i commenti tecnici. Sullo sfondo, restano i ricordi degli amici sui social. Renato era un ragazzo fragile? Forse sì, a leggere i commenti che due suoi amici hanno postato su Fb. Scrive Armando Anastasio: «Lui era un vero amico. Forse intuiva che aveva raggiunto il suo limite, dalla primavera Napoli all’Albino Leffe, serie C . Il destino ti ha fatto un brutto scherzo. Ti porteremo nel cuore, e se il nostro sogno diventerà realtà, ognuno di noi di ricorderà». Un altro amico di quella Primavera, Genny Tutino, in prestito al Prato, serie C, commenta: «Ogni volta che salirò sulla curva B, sarai con me, nel mio cuore. Ti voglio bene Renatì». Un alito gelido accoglie le prime ombre del crepuscolo nel complesso Olimpia. La partita è finita due due a uno per la Lazio. E i responsabili della squadra ci informano che né Saurini né i giocatori verranno a parlare di Renato. Già cancellato dalle pagine sportive, non appena trascritto nell’elenco delle vittime degli agguati di camorra. Il triplice fischio per una giovane vita.

fonte: il mattino

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