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Si chiama Britos, si legge gigante

L'ex del Bologna ha preso per mano la difesa con grinta autorità

Un anno e sei mesi, lo spazio di un campionato e mezzo esatto, per sole 26 presenze. Tante le volte di Miguel Angel Britos in azzurro (tra serie A e resto), da quel 12 luglio 2011, giorno del suo trasferimento dal Bologna al Napoli. Scalogna, solo quella: maledetta scalogna, e con chi vuoi prendertela se per ben due volte il colosso di Montevideo s’è dovuto arrendere a fastidiosi e prolungati infortuni, per un totale di ben sei mesi? Quattro per il primo malaugurato stop, occorsogli all’arrivo a Napoli (infrazione al quinto metatarso del piede destro durante Barcellona-Napoli del trofeo Gamper) e due per il secondo, alla vigilia di Napoli-Parma dello scorso 16 settembre. Con il quadricipite della coscia sinistra in sofferenza all’ultimo tiro in porta durante un’esercitazione. 

CHE IELLA! – Con tutto quello che poi ne consegue. Con un’eternità fatta di domande a se stesso, di cattivi pensieri, timori inconfessati e non, ma anche di lavoro (tanto), abnegazione e voglia di tornare più forte che pria… Cosa che (debiti scongiuri facendo) gli sta riuscendo, e anche molto bene. Per la felicità di tutti. Dell’intero staff, con a capo Mazzarri, che ha saputo supportarlo ed aspettarlo, durante quel percorso tortuoso irto di ostacoli ed incertezze. Dei compagni di squadra, che non gli hanno mai fatto mancare il dovuto incoraggiamento, e poi gli stessi tifosi, cui è parso subito chiaro (al di là di ogni incongruente insinuazione), che quelle prolungate e giustificate assenze, nulla avevano a che vedere con limiti tecnici o caratteriali. Ma solo, ed unicamente, imputabili a pura e semplice iella. Argomento ben conosciuto e destinatario di abbondanti trattati, qui alle falde del Vesuvio. Uscirne è possibile? Certo. E l’uruguaiano ne è la prova lampante. Forza di volontà e fede: Miguel ha sempre creduto che sarebbe stata solo una questione di tempo. Per il classico calcio alla sfortuna. 
IL MINUTINO – Tanto è bastato per sentirla pure sua. Si parla del trofeo del Napoli di De Laurentiis, quello arrivato dopo ben 22 anni. La Coppa Italia. Nella magica notte dell’Olimpico c’è stata gloria anche per lui, dopo il lungo rodaggio di campionato, fatto di pochi chiari e molti scuri. Ma, tant’è. C’era una condizione da mettere a punto dopo il primo lungo stop. Una parentesi davvero parecchio spinosa, per un marcantonio di circa 82 chili distribuiti su 188 cm. Ce ne vuole e ce n’è voluta, fra massaggi, terapie, programmi personalizzati, diete e quant’altro. Entrato al 48° del secondo tempo al posto di Cavani, il mancino abile in elevazione, in quel minuto deve aver toccato il cielo con dito. Un cielo mai così azzurro e così stellato. Peccato poi per quei 120 minuti di Supercoppa pechinese, che hanno detto male a tutti, ma che hanno pure parlato di un Britos ritrovato e pronto per il campionato. 
LA RINASCITA – Sì pronto per il campionato, certo. Ma poi uno-due (Palermo e Fiorentina) ed ecco servito il ritorno di quei fantasmi che lo avevano già perseguitato per un quadrimestre. Out da Parma in su, ma poi di nuovo in campo per l’intero match casalingo col Dnipro (8 novembre), quello della sterzata in Europa per intenderci. Qualche panchina in campionato per riassaporare il clima agonistico e quindi a pieno regime a partire da Cagliari-Napoli, sino all’ultima col Palermo. Sette volte di seguito in campo, a totalizzare 572 minuti corroboranti ed al contempo esplicativi. Perché il Britos in escalation di quest’ultimo scorcio di stagione, ha lanciato segnali rassicuranti, ma ha anche parecchio sorpreso. Dando l’idea cioè di essere finalmente un giocatore recuperato appieno, e non solo. Di essere anche un bell’esempio di jolly difensivo, duttile quanto mai nel ricoprire con insospettata abilità anche il ruolo di centrale difensivo, fra Campagnaro e Gamberini. Una gran nota lieta dopo cotanta disdetta. Un punto fermo, ora. 
Fonte: Corriere dello Sport
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