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The Guardian: “Il Napoli come il City: tra le stelle d’Europa dopo l’inferno”

Il giornale inglese, con la penna del suo reporter anglo-italiano Paolo Bandini, fa un excursus sulla storia del Napoli, partendo dall’arrivo di Maradona, per giungere alla gara Champions di martedì contro i “Blues” del City. Ecco la traduzione integrale dell’articolo per Iamnaples.it:

Ci sarà il tutto esaurito allo Stadio S.Paolo di Napoli martedì sera per la visita del Manchester City in Champions League. Ci si aspetta un nuovo record di spettatori per una partita. Ma se ogni posto sarà occupato ci sarà sempre meno folla rispetto a quel 5 luglio del 1984 – e quel giorno il Napoli non giocava neppure.

Che ci crediate o no quel giorno erano presenti tra i 70mila e 90mila tifosi, non uno di meno, in un giorno lavorativo, per vedere Diego Armando Maradona alla sua prima apparizione pubblica come giocatore del Napoli, a vederlo “gionglare” con la palla e poi ringraziare del caloroso benvenuto. “Voglio essere un idolo per i bambini poveri di Napoli” – disse allora “Sono come ero io a Buenos Aires.” Una tale affluenza non è più possibile in uno stadio che conta oggi 60mila posti – intanto ci si chiede se questo lato divertente di Napoli abbia catturato un po’ il Pibe de Oro. Il Napoli aveva vinto la Coppa Italia due volte prima dell’arrivo dell’asso argentino, e poco altro. Con lui il Napoli fu campione nel 1987 e nel 1990 come pure la Coppa Uefa nel 1989.

Festeggiamenti all’insegna della pazza gioia in occasione del primo scudetto al punto tale che anche le tombe furono “adornate” con messaggi del tipo: “Non sapete che vi siete persi”. Maradona certamente riuscì a diventare un’icona anche per la gente di Napoli. Come ha notato John Foot nella sua storia approfondita del gioco del calcio italiano, in una parrocchia bek il 25% dei nuovi nati fu battezzato con il nome di Diego.

Ma le fortune di Maradona sarebbero cambiate, il giocatore fuggì in Argentina nel 1991 dopo una condanna di 15 mesi per consumo di cocaina. Il declino del Napoli fu più graduale, la squadra terminò quarta la stagione successiva, dando inizio ad una dolorosa caduta in disgrazia, precipitata in un groviglio di debiti crescenti e sale di rappresentanza.

Nel 1993 il presidente Corrado Ferlaino fu risucchiato nella scia delle accuse di corruzione e un anno più tardi cedette oltre il 93% del club a nuovi proprietari a condizione che questi si sarebbero accollati i debiti del club, ammontanti a oltre 50 miliardi di lire. E tuttavia, nove mesi dopo Ferlaino si riprese la società, dimostrando con successo in tribunale che i suoi successori non si erano dimostrati all’altezza dell’affare.

A questo punto il Napoli fronteggiava il serio rischio di bancarotta, nonostante Gianfranco Zola e Ciro Ferrara fossero stati ceduti. Fabio Cannavaro e Benito Carbone partirono subito dopo e le prestazioni continuavano a peggiorare. Nel 1998 ci fu la retrocessione, ultimo in serie A. anche se i partenopei furono nuovamente promossi due anni dopo, retrocessero ancora. Infine nel 2004 il Napoli fallì. Il club aveva cambiato proprietario due volte a quel punto – passando prima nelle mani di Giorgio Corbelli e poi dell’imprenditore alberghiero Salvatore Naldi, ma nessuno dei due fu in grado di risolvere i crescenti problemi finanziari. E gli spettatori calanti non aiutavano certo la situazione. Una squadra che faceva sempre pienoni durante gli anni d’oro di Maradona adesso non riusciva a raggiungere 14.500 spettatori. Tuttavia la bancarotta del Napoli più che la sua fine segnò un nuovo brillante inizio.

Ai primi di settembre, appena in tempo per la nuova stagione – I diritti sportive della società furono rilevati dal produttore cinematografico Aurelio De Laurentiis e trasferiti alla nuova società da lui fondata: la Napoli Soccer. Grazie alla legislazione designata per proteggere il patrimonio delle città e cittadine le cui squadre falliscono per ragioni finanziarie, il club fu posto in serie C, la terza serie.

Con una squadra che era stata messa insieme pochi giorni prima dell’inizio del campionato, il Napoli finì 5 prima di perdere la finale dei play-off contro l’Avellino. Nonostante un calcio povero i tifosi si energizzarono. La media degli spettatori per la stagione fu più di 37.000 a partita e ben 62.058 persone si ritrovarono al S. Paolo per la vittoria sulla Reggiana per 2-0 nel mese di febbraio.

Un tale declassamento rinforzò la convinzione di De Laurentiis, riformare tutto lo staff tecnico con l’aiuto del direttore Pierpaolo Marino, un talent scout di tutto rispetto. Nei successivi due anni a venire il club totalizzò due promozioni consecutive, con De Laurentiis che restaurò l’antico nome della società – Società Sportiva Calcio Napoli – subito dopo il ritorno in Serie B.

Già a partire dal ritorno in serie A nel 2007 il Napoli ha avuto una storia di progresso costante – la squadra è finita solo una volta, nel 2008-2009 in una posizione peggiore dell’anno precedente. Anche se De Laurentiis mandò via Marino nel settembre del 2009, a quel punto la squadra era stata trasformata dall’arrivo del nazionale slovacco Larek Hamsik e dall’argentino Ezequiel Lavezzi.

Forse, ed è più significativo, poche settimane dopo la partenza di Marino, De Laurentiis si separò anche da Roberto Donadoni, chiamando Walter Mazzarri – 48 anni, toscano, che aveva portato la Sampdoria alla finale di Coppa Italia – come terzo allenatore in otto mesi. La trasformazione fu immediate, Mazzarri riuscì dove Donadoni aveva fallito nel dar forma ad un gruppo giovane ed atletico in un undici efficace e di contropiede – capitalizzando il ritmo offerto da Lavezzi e Hamsik, come le giocate degli esterni Christian Maggio e Andrea Dossena, quest’ultimo rilevato a gennaio dal Liverpool.

Con Mazzarri il Napoli finì sesto. In estate poi arrivò il vero colpo di scena. Molti tifosi si erano arrabbiati parecchio con la società per aver venduto Fabio Quagliarella alla Juventus, ma al suo posto arrivò Edinson Cavani. L’attaccante con la faccia da ragazzino si era mostrato competente ma poco efficace in quel di Palermo, ma con Mazzarri prosperò – trovando nella sua carriera il primo allenatore disposto a schierarlo come attaccante vero e proprio.

“Lo prendemmo per pazzo quando si paragonò a Ibrahimovic e a Rooney”, ha ammesso La Gazzetta dello Sport quando Cavani sfoderò I suoi 33 gol in 47 partite – incluse le triplette contro Juventus e Lazio – guidando la sua squadra a lottare per il titolo e piazzandosi poi al terzo posto. A Napoli hanno mostrato il loro apprezzamento creando un “calzone” in suo onore e preparando per l’uruguagio di fede evangelica delle immagini con la didascalia “Santo subito”. Inevitabilmente, nonostante i diversi stili di gioco, sono cominciati i paragoni con Maradona. L’argentino, ovviamente non era un santo – anche se è stata creata un’intera religione in suo onore. A Cavani manca poco per ottenere quella sorta di status (anche se c’è da dire che il Napoli di Maradona ha vinto in due tentativi solo una gara a eliminazione diretta nella Coppa “a due zampe”). Ma se riuscirà a dar seguito al gol che segnò allo Etihad Stadium a settembre vincendo contro il Manchester City martedì prossimo, allora potrà dire di aver fatto un bel passo in quella direzione.

Fonte: The Guardian.co.uk

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La Redazione

Traduzione e adattamento a cura di Maria Villani

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