Sono trascorsi 162 giorni dal 4 giugno 2023, quando durante la festa scudetto il presidente De Laurentiis dichiarò che chiunque avrebbe potuto allenare una squadra forte come il Napoli. Si poteva bollare come la solita frase rivolta a colui che va via, in questo caso Spalletti. Un addio doloroso per De Laurentiis che si è reso conto soltanto durante la cena a Chiaia che c’era poco da fare per rimediare allo strappo. Ci ha anche successivamente riprovato ma Spalletti aveva già deciso in virtù proprio dei rapporti avuti con il patron, dal post Empoli-Napoli 3-2 della prima stagione fino alla lettera con cui s’annunciava l’opzione esercitata via pec.
In quella frase c’era il virus della presunzione, dell’onnipotenza post vittoria che a distanza di quattro mesi circa è il male che il Napoli deve estirpare. Ci sono stati altri passaggi dell’estate vissuta sul piedistallo, con l’idea che tutto per inerzia potesse andare al posto giusto. Dal “refrain” su Napoli-Milan 0-4 alla narrazione che volesse Giuntoli in branda, quando invece è stato fondamentale per la crescita del Napoli, all’idea che il direttore sportivo potesse non essere una figura centrale promuovendo il lavoro in team.
Non sono state solo frasi buttate lì sulla scena mediatica, non appartengono ai classici sfoghi estivi perché De Laurentiis l’ha fatto davvero, si è affidato a Maurizio Micheli, valido capo-scouting, una risorsa fondamentale per definire le trattative come dimostra quella con gli agenti di Kvaratskhelia ma il direttore sportivo è un’altra cosa, non è mai stato il suo ruolo.
Micheli ha proposto Garcia, Meluso, individuato il buon acquisto Natan e ancora oggi è il principale riferimento per i pensieri calcistici di De Laurentiis. Il direttore sportivo ha la visione del campo, dell’organico a disposizione, è la spalla dell’allenatore del resto lasciato prima solo e poi mortificato con un mese trascorso più a Castel Volturno che a Roma. Ancora la maledetta presunzione, l’idea che bastasse fare i colloqui individuali, far sentire il proprio peso e tutto potesse andare per il verso giusto. Nel calcio l’inverno è figlio dell’estate e non sempre tutto si può risolvere con un colpo di spugna.
De Laurentiis ha migliorato la situazione fuori dal campo, ha portato un po’ d’ordine ma sul terreno di gioco non poteva far nulla e, infatti, un mese dopo l’occasione persa d’intervenire a margine della sconfitta contro la Fiorentina, la situazione è peggiorata.
Il Napoli non riesce più a vincere neanche contro squadre nettamente inferiori come Union Berlino ed Empoli. Ha mancato l’aggancio al terzo posto, l’Inter è volata a +10, in Champions League c’è il rischio di dover giocare la gara contro lo Sporting Braga con l’obbligo di fare punti quando la qualificazione era praticamente in pugno dopo il successo di Berlino.
Sul campo Napoli-Empoli ha riproposto i problemi nella costruzione del gioco che erano emersi nel passato. Il Napoli è una squadra amorfa, spenta, assomiglia a quelle donne ferite, con gli occhi tristi, che non hanno più voglia di sorridere alla vita. Non c’è alchimia tra i rinnovi lasciati a metà, un allenatore che non è entrato nel cuore del gruppo e una squadra che esprime un calcio poco evoluto. Era la più sexy d’Europa, ha perso l’appeal perché ha svuotato l’identità, era complessa, ricca d’idee, è diventata basica, elementare, leggibile. L’Empoli si è messa a difendere in meno di trenta metri, con due linee corte, compatte, ha lasciato far passare il gioco anche per Lobotka, ha limitato il Napoli nell’ultimo terzo di campo.
Garcia ha stravolto la catena di sinistra, ha voluto una squadra che provasse ad andare tra le linee con Elmas e Olivera che venivano dentro al campo nel 4-2-3-1, Raspadori a ridosso di Simeone che ha toccato solo dodici palloni, con la catena di destra a guidare gli attacchi nel primo tempo. Dopo circa 54 minuti, ha cambiato tutto, è tornato al punto di partenza con Kvaratskhelia e Zielinski e togliendo Simeone che poteva essere utile per riempire meglio l’area avversaria.
Il Napoli poteva anche vincerla con l’inerzia degli episodi ma avrebbe comunque confermato tutti i suoi problemi. È una squadra che difende male (nel primo tempo ha concesso a difesa schierata tre palle-gol all’Empoli che ha il peggior attacco della serie A), costruisce gioco in maniera prevedibile e non riesce a vincere in casa, quando ancora di più senza Osimhen bisogna condurre la partita.
Il prescelto ora sembra Tudor, De Laurentiis sta provando a raggiungere l’accordo. Se fosse lui il prossimo allenatore del Napoli, dovrà essere bravo a non stravolgere ma intervenire gradualmente, convincendo il gruppo dei cambiamenti che ha in mente.
Ciro Troise
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