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Pirateria & Calcio: un reato sospeso tra un servizio costoso e un prodotto percepito come scadente

Alle origini del problema pirateria nel calcio. E tutto quello che la Serie A fa per (non)risolverlo

In questi giorni sta facendo particolare rumore la notizia della “chiusura” di diverse piattaforme di streaming pirata. Quello che a Napoli è chiamato ‘o pezzotto e che in altre parti d’Italia, nonostante la propensione a guardare la pagliuzza partenopea e a nascondere la loro trave italica, è ugualmente popolare col nome più chic di IPTV avrebbe, stando ai toni trionfalistici dell’apparato comunicativo del nostro calcio, subito un duro colpo.

Non nascondiamoci dietro al “rumore della propaganda”. Domini improponibili, piattaforme di server ubicate su ex atolli artificiali in mezzo al Canale della Manica, e domani sarà di nuovo tutto come prima. Anzi, gli smanettoni, e neanche tanto smanettoni, hanno già provveduto con propri metodi a ritrovare il loro sito pirata preferito.

CHIARIAMO: la pirateria audiovisiva è un reato. E’ un furto. E’ il sottrarre compenso a chi, e non ci riferiamo solo a compagne di calciatori messe in prima serata o ex calciatori in quota X voce del loro ex club, lavora per offrire un prodotto. Sul fatto che sia di qualità o meno ci torneremo. Ma è comunque reato. Nessuno si sognerebbe di giustificare il furto di una macchina, o di uno smartphone, o di un salame. Così come non ci dovrebbero essere remore a definire la pirateria un furto!

Però se vogliamo analizzare la cosa più a fondo possiamo domandarci se le contromisure messe in atto dalla Lega Serie A siano valide. E soprattutto se, secondo il nostro parere, potranno portare, in futuro, ad una drastica diminuzione della pirateria audiovisiva legata al calcio.

Chiariamo subito che la pirateria non si può sconfiggere, si può combattere e si può arginare. Ma pretendere di colpo che 60 miloni di italiani siano felici e sorridenti di dare TOT € al mese a Sky è pura illusione.

La Lega Serie A sta spingendo molto sulla lotta alla pirateria. E fa bene. Sono ricavi mancati. Ricavi che potrebbero migliorare l’intero calcio italiano. Però gli effetti di questa lotta sono tra il tragico e il comico.

Basta una piccola sentiment analysis, che pulendo il termine dagli odiosi anglicismi non è altro che andare a vedere i commenti sotto i post Facebook e Instagram. Ebbene il 90% dei commenti allo spot antipirteria della Lega Serie A sono commenti di rabbia, di derisione, di, presa per i fondelli

Scindiamo un attimo il discorso legale, ribadendo sempre che la pirateria è illegale e criminale (e tra le due cose c’è spesso differenza), ma è immorale?

Stando alla già accennata sentiment analysis sembrerebbe che la pirateria, dal punto di vista degli utenti, non è immorale. La Lega Serie A dovrebbe quindi concentrarsi, più che sul lato illegale su quello immorale.

Perchè la pirateria audiovisiva legata al calcio è considerata da molti giusta? Quasi una scelta da Robin Hood?

A nostro avviso, per due motivi, che in realtà sono i motivi che hanno accompagnato la pirateria anche in altri campi (ci torneremo): limiti del servizio e limiti del prodotto.

Non nascondiamoci dietro ad un dito. Il calcio italiano attualmente è un monopolio de facto di Sky. Monopolio che potrebbe però essere messo nuovamente in discussione alla fine dell’attuale triennio, con un canale della Lega in cantiere e con la stessa Sky preoccupata di perdere il motivo principale dei rinnovi degli abbonamenti.

La “rivoluzionaria” Dazn (che presenta notevoli limiti di fruizione dovuti, ad onor del vero, più ai problemi infrastrutturali della rete internet italiana che a limiti propri) non è diventata il concorrente di Sky, quanto piuttosto di suo (obbligato) abbonamento complementare. Se vuoi vedere la tua squadra devi per forza avere le due piattaforme. E mettici pure che se la tua squadra ha la (s)fortuna di giocare la Champions, Sky mette le partite in un altro pacchetto.

Un comportamento non certo corretto da parte dell’emittente satellitare che, dopo aver venduto pacchetti con 10 partite a giornata, da un anno all’altro ha diminuito la sua offerta, senza rimodulazioni significative al ribasso. Proprio perchè forte della sua posizione di monopolio de facto. A ciò aggiungici una qualità del parterre degli ospiti a detta di molti troppo bassa (e troppo schierata) e i limiti tecnologici del suo (finto)concorrente Dazn.

Tanto che quest’anno, dopo le innumerevoli polemiche, è arrivata la parziale marcia indietro con la presenza di un canale Dazn sulla piattaforma Sky a prezzo scontato (gratis se sei cliente Sky da tre anni). A dimostrazione di come il doppio-abbonamento, unito ai limiti infrastrutturali con i quali si è dovuta confrontare Dazn, è stato percepito come un grosso ostacolo alle vendite (e ai profitti) delle due emittenti.

Poi c’è l’altro grande problema: la qualità del prodotto.

La Serie A è un campionato banale. Un campionato che da 8 anni (se escludiamo gli anni del gol/non gol di Muntari e Pjanic&Orsato) è già deciso ad Agosto. Non si tratta di piangersi addosso o di anti-juventinismo. Si tratta di constatare come ad una sola squadra siano state offerte condizioni sistemiche per primeggiare sulle altre.

E se il prodotto è banale che interesse ha lo spettatore a seguirlo? Lo segue se il tifo per una determinata squadra lo spinge a farlo senza il peso dei risultati. “Al di là della vittoria”, giusto, giustissimo. Ma quindi seguo solo la mia squadra. E se seguo solo la mia squadra chi me lo fa fare di pagare per vedere “tutto”? Soprattutto se devo fare due abbonamenti perchè non so dove verrà trasmessa la mia squadra? Un tifoso del Napoli che interesse ha a pagare per vedere un Lecce-Udinese?

Posso anche essere il fan più accanito di un regista, ma se già so la trama, le battute, le scene di un film, potrò mai essere contento di pagare il prezzo per la prima?

Sono tutte domande che la Lega Serie A dovrebbe farsi. Migliorare il servizio e migliorare il prodotto! Semplice. Al momento, con la Serie A costruita su misura per Sky e la Juve, la Lega Serie A sta facendo esattamente l’opposto.

Negli anni ’90 la pirateria videoludica sembrava inarrestabile. Schiere di negozi vendevano la PlayStation con la “modifica”. Le bancarelle con i GTA San Andreas a 10€ e i Winning Eleven con le mod più disparate erano ad ogni angolo di strada. Poi sono arrivati servizi come Steam, GOG, gli sconti periodici sugli Store, le CD Key. Ed è migliorato il prodotto, offrendo a chi non aveva il gioco crackato, anche l’esperienza online che andava oltre il singolo gioco. Così l’industria videoludica (purtroppo non in Italia dove è considerata ancora una cosa da nerd asociali) macina milioni.

Idem per la pirateria musicale: Spotify con un servizio semplice e innovativo ha rilanciato sia il mercato che il prodotto, dando una vetrina a tanti artisti emergenti. E Netflix e Amazon Prime Video per l’audiovisivo: abbonamento semplice e chiaro. Piani tariffari senza troppi asterischi, una spesa non eccessiva e disdici quando vuoi.

Il calcio, a differenza di videogiochi, musica film ha un valore in più per quanto riguarda la trasmissione: il live. Una partita di calcio è nell’immediato. Vista dopo perde tutto il suo fascino. Ma se questo punto di forze è accompagnato da un servizio percepito come truffa e un prodotto al limite del banale e non appassionante, si possono mettere in atto tutte le misure repressive di questo mondo, ma una piattaforma in mezzo al Canale della Manica e un dominio .se o .qualsiasicosa lo si troverà sempre.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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