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Bronx, la brigata dei violenti. Via il tatuaggio di chi sgarra

L’incitamento ai compagni «È normale portare armi nel furgone. Mica si va in Vaticano?»

La prima cosa è l’estetica. Lo dice a chiare lettere, lo fa ripetere ai suoi uomini, lo impone come una regola inviolabile: guai a sgarrare con l’abbigliamento, niente maglie rosse, gialle o colorate, ma una mise in tinta nera. Eccola la divisa del «bronx», il gruppo che farebbe capo a Francesco Fucci, classe ’79, precedenti per droga, un presunto oltranzista del corpo a corpo. Lo chiama scontro «leale», a leggere le intercettazioni della Digos: leale sta per «mani nude», senza usare pistole o armi da fuoco. Scontro «leale», con otto picchiatori del «bronx» contro otto esponenti di un’altra tifoseria, in una campagna o lontano dai riflettori. L’invito allo scontro leale è una costante del prepartita del Napoli con Atalanta, Inter, Milan o Juve, e viene formulato al telefono dal capo in persona. E alla fine – sembra di capire – vince chi resta in piedi.
È dalla sua abitazione – il cosiddetto «baretto» – che partono gli ordini, quasi sempre giocando a rimpiattino con la polizia: mentre in Questura si organizza la strategia per impedire incidenti, loro – quelli dei bronx – lavorano per creare occasione di scontri: catene, molotov, cilindretti, sassi. Poi: studio delle vie usate dai tifosi ospiti, delle possibili vie di fuga, le vedette per seguire gli spostamenti di forze dell’ordine e dei nemici, i mezzi da usare. Insomma, una attenzione che il gip Giordano definisce «maniacale» nella definizione di una sorta di strategia militare.
E le partite qui sono solo un pretesto. Anzi. C’è una lunga intercettazione in cui quelli del «bronx» provano ad organizzare uno scontro nei pressi del Tribunale, dove ogni martedì arrivano alcuni tifosi juventini (da Bari) per seguire il processo calciopoli, che si chiuderà con la condanna di Luciano Moggi.
Il capo incita, gli altri affiliati sembrano esaltarsi a vicenda. «È normale portare armi nel furgone: mica si va in Vaticano», urla al telefono al fratello Alessandro Caputo, uno degli ultrà coinvolti ieri nell’inchiesta, dopo gli scontri di Udine in occasione di Udinese – Napoli (7 febbraio 2010). Ma sono numerose le intercettazioni contenute nell’ordinanza di custodia cautelare: in un’altra conversazione captata lo stesso giorno Umberto La Fontana diceva: «È tutto a posto, mo m’aggio fernuto ’e sfizia (mi sono divertito abbastanza, ndr)». Poi, qualche tempo dopo La Fontana manifesta nuovamente orgoglio e soddisfazione per l’impresa compiuta: «Perché, poi, alla fine, non ho pagato il dopo Udine dove, per esempio, mi vedevo così bello da stare proprio al Grande fratello». Ma stando alla ricostruzione degli inquienti, gli ultrà non organizzavano tafferugli solo in occasione di partite del Napoli, tanto da prepararsi all’assalto anche in occasione di Real Marcianise-Verona (campionato di serie C1 del 3 aprile 2010). Inutile dire che anche in questa occasione, quelli del «bronx» puntavano contro i supporter del Verona, conosciuti come i «cugini», quasi a sottolineare in modo beffardo l’odio reciproco che va avanti da anni.
Ma il sigillo dell’affiliazione è tutta in quel tatuaggio, «bronx 1999», una sorta di tribale con scritte che ribadiscono rancore verso le istituzioni, le divise, la tessera del tifoso: il volto coperto da sciarpe, diavoli, catene e sigle, come «Bronx» e «niss». Quando poi il rapporto tra un ultrà e il gruppo si incrina, il tifoso viene costretto a farsi rimuovere il tatuaggio perché non è più considerato degno di ostentarlo. Tatuaggi sull’avambraccio, sul polpaccio, sulla spalla, finanche all’altezza del fondoschiena. Una sorta di società con le sue regole, la sua gerarchia interna, con logiche e valori imposti dall’alto. Messa agli atti spicca la storia di un ragazzo che non viene ritenuto all’altezza di ingaggiare uno scontro fisico con un gruppo di tifosi bergamaschi. E che davvero non riesce a darsi pace, nel raccontare il suo sconforto a un altro amico al telefono: «Il capo non mi ha ritenuto degno di scendere in campo, eppure io sto facendo la gavetta…».
Dalle riunioni, inoltre, emerge «l’esistenza di regole di
autofinanziamento per assicurare assistenza legale ai soggetti che di volta in volta finiscono nelle maglie di procedimenti penali in giro per l’Italia. Sono i reati di cui andare fieri – stando al contenuto delle intercettazioni telefoniche – quelli connessi ai fatti di stadio o alla pianificazione delle politiche contro la società azzurra. Ed è questo un altro filo conduttore: settemila ultras che affollano il San Paolo, suddivisi in 14 gruppi, tutti contro tessera del tifoso ed esigenze di normalizzazione della società di De Laurentiis.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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