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Conte si racconta: «Che fatica contro Maradona e che dispiacere dover rinunciare al Sorrento»

Antonio Conte si racconta nel libro scritto con Antonio Di Rosa: dalle prime gare ai trionfi da tecnico

L’obiettivo, anzi, il «Verbo», è vincere, perché perdere è «come una morte temporanea di due giorni». La strada per raggiungerlo è lastricata di idee, coraggio e tanta fatica: si può riassumere così la filosofia calcistica di Antonio Conte, enunciata in «Testa, cuore e gambe», l’autobiografia del tecnico bianconero, scritta per Rizzoli (17,50 euro, 230 pagine) insieme ad Antonio Di Rosa. Una cavalcata nella carriera dell’ex centrocampista, dalle prime partitelle con gli amici nelle strade della sua Lecce fino all’esordio da allenatore in Champions League, lo scorso 12 febbraio, dopo la squalifica che gli aveva fatto saltare la fase a gironi.
Tanti gli aneddoti svelati: il primo incontro con Andrea Agnelli (che fu lo stesso Conte a cercare nella primavera 2011), l’sms ricevuto da Buffon dopo l’erroraccio del portierone contro il Lecce, che poteva costare alla Juve lo scudetto 2012 («Avrei preferito rompermi i legamenti»), la panchina del Sorrento sfumata per un soffio nel 2007 («Tifosi fantastici, posto stupendo, ma non me la sento di scendere in C1»). Il libro è una galleria di personaggi che hanno fatto la storia del calcio italiano negli ultimi 30 anni. Ci sono i giocatori, a partire dal «più forte calciatore contro cui abbia mai giocato», e ovviamente si parla di Maradona. Ma ci sono soprattutto gli allenatori che hanno formato il «credo» tecnico di Conte: da Trapattoni («Un secondo padre») a Sacchi, modello dichiarato di Conte, l’uomo che «mi ha letteralmente aperto la testa e ha cambiato la mia concezione del calcio». C’è anche Moggi, che viene ricordato per aver offerto a Conte, nel 2004, un ultimo contratto da giocatore a ingaggio pesantemente decurtato, una proposta che al centrocampista non andò giù e che lo spinse al ritiro.
L’ultimo capitolo è dedicato alla squalifica subita l’estate scorsa, «la partita più difficile»: Conte non fa mai i nomi del suo accusatore Carobbio né del procuratore Palazzi, ma è chiarissimo nell’esprimere la sua rabbia per una vicenda in cui ritiene di essere stato coinvolto ingiustamente («Io rifiuto l’idea stessa di essere processato, perché sono innocente»). L’unico errore commesso in quelle settimane, spiega Conte, è aver accettato il patteggiamento, tanto da vivere come un sollievo la decisione dei giudici di respingere la proposta di accordo su uno stop di tre mesi. Scommessopoli è una ferita aperta: nei ringraziamenti finali, oltre alla famiglia, c’è spazio per un unico altro nome, quello dell’avvocato Antonio De Rensis.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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