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Corbo: “Cosa divide la Ssc Napoli dai suoi tifosi?”

La società è muta come un museo di cere

Sulla vivibilità di Napoli corre uno sciame di cifre: nere, nerissime. Si legge, niente di nuovo, e si gira pagina. Rassegnati. Ma la domenica nera del calcio, tra oscure verità e paradossi, ti fa riflettere: questa città sa ancora lottare e sognare uno scudetto? Il primo, 10 maggio del 1987. Fu la lirica follia di una festa senza età. I ragazzi di allora hanno oltre quarant’anni. Molti dalle curve sono passati nei settori più cari, distinti o tribuna. È la fascia che non riconosce più lo stadio, il suo stadio. «Domenica il Napoli sembrava giocasse in trasferta», è la sintesi nostalgica di un radiocronista sensibile, Carmine Martino. Curve mute, niente tamburi né folklore, i fischi iniziali della A verso De Sanctis, e quelli contestati alla fine da Mazzarri. Sky lo ritrae con l’indice che oscilla verso la B. Come dire: no, non è giusto, non li meritiamo. Mazzarri, l’allenatore del secondo posto, un occhio alla Champions, un altro ancora fisso sullo scudetto, possibile? Sono passati 26 anni, sono cambiati i tifosi, sono diversi Napoli e il Napoli. Si ricorderà la “recita dell’indifferenza”, invocata dal vecchio Napoli, sostenuta dai giornali del tempo, interpretata subito dai tifosi. Altri tempi. Una scaramanzia trasmessa in codice: non facciamo il gioco del Nord, non anticipiamo la festa, vinciamo prima, poi si vedrà. L’altare con Berlusconi, presidente milanista in lacrime, fu montato come un presepe, pezzo su pezzo nel segreto di uno scantinato, e portato in strada 12 minuti dopo lo scudetto. Napoli e il Napoli vivevano, lottavano, sognavano insieme. Che succede? La rapina ad Hamsik ha chiuso la domenica nera ma aperto un dibattito. «Mi dispiace molto. È la terza volta che accade. Niente di che, ma sono i disagi che appartengono a Napoli», sospira Hamsik nel suo sito. Sembra una carezza, brucia come carta vetro. «È la terza volta, che schifo», rimarca Miska, sorella di Hamsik, moglie di Walter Gargano oggi all’Inter. Tre interrogativi. Uno è scontato, perché si vive così male a Napoli? Il secondo, no. Perché la malavita non risparmia neanche i suoi idoli? Il terzo, ancora più delicato: che cosa divide la città dalla squadra? La società poco ha fatto per entrare nel cuore della città. Oggi è muta come un museo di cere. È anche strano che un giocatore, dopo una partita peraltro contestata dai tifosi, lasci da solo in auto lo stadio, riconoscibile e con Rolex al polso. Le squadre escono tutte in pullman. Compatte e scortate. In casi eccezionali, tassisti fidati o auto della società. Perché a Napoli è diverso?

Fonte: Antonio Corbo per “Repubblica”
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