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Dal voto di Kreuzer a Benitez: i 13 tecnici stranieri del Napoli

Aneddoti, manie e trovate geniali degli allenatori azzurri d’oltre frontiera

Ha imparato l’italiano quando veniva a studiare gli allenamenti di Arrigo Sacchi. Il poliglotta Rafa Benitez parla quattro lingue. Praticante convinto del turn over, 99 partite consecutive cambiando ogni volta la formazione, finora ha distillato il suo credo in spagnolo, inglese e italiano.
Il Napoli poliglotta. Tredici allenatori in 82 anni e sette lingue diverse. Anton Kreuzer il primo. Austriaco, fa un voto: «Tornerò a piedi a Vienna dopo la prima vittoria del Napoli». La squadra perde tutte le partite, meno una pareggiata con il Brescia. Il giornalista Filosa capta al volo un’espressione dei tifosi in Galleria Umberto. «Sta squadra nosta pare ‘o ciuccio ‘e fechelle, trentatre piaghe e ‘coda fraceta». Il ciuccio diventa simbolo.
Nel 1927, alla guida del Napoli, si danno il cambio il cambio tre stranieri: gli austriaci Rolf Steiger e Otto Fischer e l’ungherese Franco Molnar, supportati dai giornalisti Mario Argento e Felice Scandone. Steiger prende possesso e boccia Attila Sallustro, giovane talento. «È una schifezza».
Willy Garbutt nasce in Inghilterra a Stockport, un pugno di chilometri da Manchester. Artigliere di Sua Maestà, ala dell’Arsenal in gioventù, abiti eleganti, il cappello scuro di feltro, la pipa in bocca e altre due nel taschino, cascasse il mondo. Tre scudetti alla cloche del Genoa, prima dell’approdo a Napoli. Un vero mister. Il classico manager all’inglese, si occupa anche degli acquisti. Il primo allenatore professionista in Italia. A Napoli nel ’29, si trattiene sei anni dalle nostre parti. Duecento partite in piedi lungo la linea laterale del campo: 93 vittorie, 42 pareggi, 65 sconfitte. Due terzi posti, un quinto, risultati eccellenti e la precoce eliminazione dalla Coppa Europa: 0-5 nello spareggio con l’Admira Vienna a Zurigo.
Mister Garbutt rivoluzionario nei fatti, non solo con le parole. Discorsi asciutti, parlando di cuore, coraggio e voglia di fare. Espressioni che appartengono al gergale anche degli allenatori d’oggi, non escluso Rafa Benitez. Elegante precursore, importa in Italia nuovi metodi di allenamento e i quaderni fitti di indicazioni, in voga anche oggi.
Karl Cspakay, ungherese, sbarca a Napoli nel ’35 con uno stipendio mensile di 300 lire. Eccellente bevitore, consuma gran parte del salario inseguendo le ballerine dell’Alcazar. Schiera il livornese Busoni centravanti e dirotta Sallustro all’ala. Licenziato dal comandante Lauro, ammette: «Non ho capito nulla di Napoli». Eugenio Payer, suo connazionale, dura fino a metà gennaio del ’39. Elegante viveur, indossa di norma un pesante cappello di pelo, e per questo si becca il soprannome di “mister Piluscio” da Michelangelo Beato, storico massaggiatore distributore di caramelle d’orzo. A centrocampo gioca il triestino Nereo Rocco, proprio lui.
Uruguaiano di padre salernitano, Raffaele Sansone ricopre all’inizio il doppio ruolo di giocatore e allenatore. Con discreti esisti nella stagione 1945-46. La società gli mette poi a disposizione 6 milioni: vada a Montevideo a prendere buoni calciatori. Una pessima idea: Candales ha classe, ma anche parecchi anni e plurimi acciacchi. La Paz è un funambolo matto, Cerilla un mediocre, Rodrigues non giocherà mai. Sansone incassa l’esonero dopo Napoli-Vicenza, 1-1, in campo piove di tutto.
Argentino dell’Avellaneda, Bruno Pesaola subentra a Fioravante Baldi nel ’62. Il Napoli è in grave crisi, più vicino alla retrocessione in C che alla promozione in A. Pesaola allena la Scafatese, non può liberarsi. Provvede il comandante Lauro: il presidente Romano accoglie l’accorata richiesta di don Achille. Dal fondo alla vetta, la squadra conclude al secondo posto, promossa in serie A. Prima grande impresa di un tecnico intelligente e scaltro, abile tattico, maestro di strategia. Inesauribile fumatore, dà del lei ai giocatori. Roberto Fiore, il presidente, gli mette a disposizione Sivori e Altafini, acquistati a prezzi stracciati, 280 e 90 milioni.
Il ritorno in A nel ’65, a seguire un terzo posto, è secondo nel campionato 1967-68, alle spalle del Milan, Il miglior piazzamento del Napoli prima dello scudetto. Squadra raccolta e contropiede. Pesaola è anche un formidabile battutista, ne confeziona in quantità industriali con quel suo personalissimo esperanto immutabile nel tempo. Vince Coppa Italia e Coppa delle Alpi. Duecentonovantuno partite sulla panchina del Napoli, record assoluto.
Formidabile cannoniere, idolo dei napoletani, Luis Vinicio è un brasiliano atipico di Belo Horizonte. Si siede sulla panchina del Napoli in due periodi. Il primo dal ’73 al ’76, proponendo cose nuove e belle: zona, velocità, ritmo, grande preparazione atletica. Precursore e innovatore, anticipa alla grande Arrigo Sacchi. Regala spettacolo e gol. Intransigente, guai a mettersi di traverso. «O mi seguite o me ne vado», una frase secca pronunciata sulla terrazza di un hotel a Montecatini. La notte del chiarimento. Serve a spingere il Napoli a un passo dallo scudetto, nella primavera del ‘75. Proprio a un passo dalla Juve campione, tirata su nello scontro diretto a Torino dal gol di Josè Altafini “core ‘ngrato”, a due minuti dalla fine.
Il gioco più divertente, la conquista della Coppa Italia affidata in eredità alla coppia Delfrati-Rivellino e una tormentata salvezza quando torna a Napoli, sostituto di Gianni Di Marzio, alla terza giornata. 176 partite da allenatore, 73 vittorie, 72 pareggi, 41 sconfitte.
Poliglotta del livello di Benitez è lo jugoslavo Vujadin Boskov di Novi Sad. Colto di suo, laureato in storia, un dotto uomo di calcio cittadino del mondo. Ha allenato anche il Real Madrid. Lo scudetto alla guida della Samp di Paolo Mantovani, Vialli e Mancini. Rileva Vincenzo Guerini, esonerato alla quinta giornata. Porta il Napoli al settimo posto, partendo dal penultimo, campionato 1994-95. Un istrione con competenza e conoscenze. Il gobbetto portafortuna di corallo pendente dalla cinta del pantalone.
L’impietoso licenziamento di Guerini e l’assunzione di Boskov sopravvengono in contemporanea mentre il Napoli scende in campo a Oporto, partita di Coppa Uefa con il Boavista. Bene il primo anno, così così il prosieguo. Ma come non giustificarlo? Chiede Pippo Inzaghi e Ferlaino gli consegna Arturo Di Napoli; ritiene Fabio Cannavaro incedibile e il Napoli in bolletta lo cede al Parma. Deve fare le nozze con i fichi secchi, e gli gira pure contro per la conquista del piazzamento Uefa. La fregatura all’ultima giornata, malgrado la vittoria a casa Inter.
Due pareggi e quattro sconfitte. Zdnek Zeman dura 6 partite, licenziato in tv da Corbelli durante la Domenica Sportiva. L’esonero dopo il pareggio a casa del Perugia, complice un cadeau dell’arbitro Messina agli umbri sotto forma di un calcio di rigore inesistente. Nato in Cecoslovacchia, a Praga giocava a hockey ghiaccio. Diventa allenatore a Palermo, dove va in vacanza d’estate, ospite di Cesto Vycpaleck, suo zio. E quando i carrarmati russi entrano a Praga, sceglie di stabilirsi in Italia. Come Pesaola e Vinicio a Napoli, la nuova casa di Rafa.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

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