E ora, decollando verso casa, lasciandosi alle spalle Cagliari e un week end vissuto tra l’estasi e il tormento, ciò che resta nell’io più inaccessibile è la leggerezza d’un momento, la carezza del destino. Presente, con la testa e persino con il cuore, con le gambe e inevitabilmente con il cervello: e quel carico d’energia su quell’isola (almeno per lui) felice, è un messaggio lanciato verso il futuro e da leggere tra le pieghe d’una domenica illuminata, illuminante. Dov’eravamo rimasti, Santana? 10 aprile 2011, Fiorentina-Milan, l’ultima grande abbuffata a tempo pieno, novanta minuti di slancio, con il profumo della viola addosso e Napoli già intravista in lontananza, nell’eco d’un mercato in fase di sviluppo per un parametro zero.
LA (RI)NASCITA – La precarietà è una dimensione scelta nel gelo della Patagonia, in quelle riflessioni avviate con la telefonata di Bigon e la chiacchierata con Mazzarri, in quell’offerta che spalanca le porte della Champions e che però conduce nel limbo d’una incertezza inevitabile, però sfidata: « Con quei tre là davanti, sarà dura ma bello ». Napoli è un universo da scoprire e, vada come vada, sarà un successo: perché lì c’è stato Diego e ora spopola Lavezzi, il titolarissimo a cui far da ombra, da guardiaspalle; e lì bisogna andare, per provare l’effetto che fa. Ma Santana è un interrogativo che si scioglie al sole di Cesena, nella prima da titolare, che poi sfila in panchina, ma che aspetta la giornata giusta per dimostrare che non è stato un errore e che non saranno solo scampoli di partita: Cagliari-Napoli ha un retrogusto amaro, chiaramente, sa di rinascita, perché stavolta il part-time s’è allungato, non solo scampoli ma praticamente due terzi di partita, cinquantotto minuti degni, densi.
CHE SFORTUNA – Ora che Napoli è un pochino più sua, ora che nel Napoli c’è pure qualcosa di suo, se ne vanno lievi pure i rimpianti per quella randellata a colpo sicuro mortificata da un palo che ancora trema: i segnali vanno colti e fa niente se stavolta gli è andata male. Però nel forcing lui c’è rimasto, caposaldo per un’ora o giù di lì; e il primo tabellone della sostituzione non è toccato a Santana, ma (persino) a Lavezzi: l’autostima a volte si ciba di piccolissimi dettagli, che aiutano a far la differenza.
LA CANDIDATURA – Ci sarà da giocare e da soffrire, da lottare e da combattere, ci saranno partite che sommergeranno altre partite e un Napoli da reinventare ogni quattro giorni: ma ci sarà anche un Santana nuovo per Mazzarri, con l’autostima che produce elettricità ed anche ottimismo, con la riverniciata di una domenica che toglie ogni crosta di delusione, che rimuove l’insoddisfazione per un abbrivio di stagione a corrente alternata, anzi senza spina, qualche comparsa, un minutaggio basso, quasi impercettibile.
PORTA FORTUNA – Il Sant’Elia, nonostante quel palo che ha vibrato a lungo, resta un amuleto, un quadrifoglio che sprigiona positività e comunque un ricordo piacevole: la sua prima doppietta italiana, con la Fiorentina, ne certificò anche una vena prolifica; e stavolta, al di là della maledizione per quell’istante meno magico, concede la consapevolezza d’una resurrezione faticosa però ormai definita. Il campionato di Santana è appena cominciato: meglio tardi che mai…
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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