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Cavani al Napoli, il racconto: aneddoti e retroscena…

È una storia di fax rotti, cartucce finite, frontiere bloccate. Un vero e proprio romanzo di mercato, forse un giorno scriverò anche un libro. Cavani al Napoli, estate 2010: due anni e mezzo dopo, quel trasferimento merita di essere ricordato. Dai primi di giugno, quando il ds Bigon parla con Mazzarri e viene individuato il tassello giusto per rinforzare l’attacco. I primi contatti con Sabatini, in quel momento in Sicilia, sono infruttuosi: il Palermo infatti chiede in cambio Quagliarella, ma il Napoli dice no, la sua partenza non è ancora stata decisa. Finirà poi alla Juve e Cavani lo rimpiazzerà subito nel cuore del San Paolo. Bigon insiste, fa venire il mal di testa a Sabatini, ottiene il via libera a trattare col giocatore, a definire il prezzo del cartellino ci penseranno poi i due presidenti (De Laurentiis e Zamparini). La prima telefonata a Pierpaolo Triulzi, agente di Cavani, è di Maurizio Micheli: l’uomo dello scouting azzurro conosce Triulzi da una vita. Il procuratore dell’uruguaiano vive a Buenos Aires, accoglie la richiesta senza troppi salti di gioia, il suo assistito pensa di andare all’Inter. Un appuntamento tra Micheli e Triulzi viene fissato a Fregene, uno spaghettino in spiaggia, l’inizio della storia. Micheli relaziona Bigon, Triulzi va in Sudafrica per i Mondiali, la seconda telefonata parte dall’Hilton di Milano. Luglio è appena iniziato, il ds del Napoli parla con Edi attraverso il cellulare di Triulzi, cerca di convincerlo ad accettare il progetto-Napoli. L’odissea del Matador comincia qui, perché dopo giorni di attesa Cavani dice sì è parte la macchina burocratica per scrivere il lungo contratto previsto dagli uffici legali della Filmauro. La bozza finale viene spedita in Argentina dove i collaboratori di Triulzi hanno l’ufficio principale. Quel contratto (circa 15 pagine) va firmato da Cavani e rimandato in Italia. Il paese originario del giocatore si chiama Salto, circa 500 km da Buenos Aires, nessun modo per raggiungerlo in aereo. I soci di Triulzi, contratto in mano, si mettono in macchina e si dirigono verso la frontiera che divide l’Argentina dall’Uruguay, ma dopo 6 ore di viaggio trovano una brutta sorpresa: gli ambientalisti del posto hanno bloccato il passaggio del confine, questioni politiche, un segnale di protesta per un impianto che dev’essere costruito vicino al fiume. C’è solo un ponte aperto, gli emissari cercano di trattare, spiegano di avere in mano un contratto importante che dev’essere firmato. Fanno il nome di Cavani, citano Napoli, magari pure Maradona. Attimi da brividi, sembra un film. Li convincono, passano, arrivano a Salto stremati. Ma Edi è a caccia, il suo hobby preferito, perso tra i boschi. Torna in serata, le luci del paese soffuse, la riunione comincia in un albergo vicino casa. Cavani legge le pagine, parla con la moglie, accetta. In Italia, c’è Bigon in attesa a Folgaria nel ritiro estivo della squadra, mentre Triulzi resta in ufficio a Roma. Un’interminabile firma comincia il suo percorso, la prima tappa è dal suo agente, ma emergono i primi problemi. Il fax di Triulzi si rompe, niente da fare. Meglio mandarlo direttamente nell’albergo del Napoli, quando la mezzanotte è già passata da un pezzo. Parte il primo foglio, poi il secondo, ma la cartuccia dell’Hotel Nevada si esaurisce subito: non arriva la pagina finale siglata da Cavani. Bigon sbraita, Triulzi a Roma ha consumato il telefono, è notte fonda ma il Napoli vuole avere quel documento prima di andare a dormire. Così, il dirigente Santoro si dirige di corsa verso l’albergo più vicino, magari la cartuccia li’ è nuova: l’Hotel si chiama Rosalpina, è in quella reception che arriva quella tanto sospirata firma. Bigon sorride, ma non si fida del tutto. Vuole recuperare in fretta gli originali del contratto, ecco perché manda subito Micheli in Argentina. Lui e Triulzi partono da Roma la mattina dopo, mentre il papiro ufficiale torna dall’Uruguay sempre in macchina, le frontiere ancora presidiate. L’appuntamento è in serata a Buenos Aires, in un ristorante, non uno qualsiasi. Il suo nome è La Brigada, lo dirige un colombiano che sembra Valderrama. Sulle pareti centinaia di maglie e ricordi del calcio argentino, quasi una sorta di piccolo museo non riconosciuto. La carne è ottima, Micheli si mette in valigia il prezioso contratto firmato da Cavani. Vicino al tavolo, foto e autografi di Maradona. Non è uno scherzo, forse era destino.

Fonte: gianlucadimarzio.com

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